Ucraina, fonderie bresciane in allarme per lo stop alle navi
Le navi che dovrebbero portare la ghisa in pani alle fonderie e alle acciaierie bresciane sono ferme a Novorossiysk, uno dei più grandi porti del bacino del Mar Nero. Il blocco dello Swift rende impossibili i pagamenti ed allo stesso tempo complica assicurare il prezioso carico.
«Senza questo materiale siamo tutti in difficoltà, a magazzino abbiamo materia prima fino ad fine aprile, poi ci fermeremo». Enrico Frigerio, alla guida del gruppo EF, Fonderia di Torbole, non nasconde la sua preoccupazione. Quelle 4.000 tonnellate di ghisa ordinate mesi fa sono indispensabili per dare certezza alle commesse.
«Stiamo battendo ogni centimetro quadrato del mondo per trovare soluzioni alternative, ma non è semplice - dichiara l’imprenditore affiancato dal consulente broker, Francesco Carpaneto -. Russia ed Ucraina sono ai vertici mondiali nella produzione di commodity determinanti per il manifatturiero italiano. Ghisa, alluminio, rame e nickel».
La sidermetallurgia, colonna vertebrale del sistema economico bresciano, è in allarme. Sul mercato mancano materie prime. Problema drammatico, che si aggiunge alla folle corsa dei prezzi di energia e gas che da mesi erode i margini delle imprese. La guerra ha chiuso gli impianti in Ucraina, in particolare i grandi siti produttivi di Mariupol e Odessa, che alimentavano il nostro Paese.«I milioni di tonnellate di ghisa che venivano regolarmente fornite al mercato italiano non ci sono più - chiosa il broker Carpaneto -. E sono impossibili da sostituire, perchè non ci sono produzioni alternative. Brasile, Sudafrica, Canada e Norvegia non sono in grado. Il problema tocca tutte la catene di fornitura della manifattura. Gli stock, che dipendono naturalmente dai singoli produttori, potrebbero esaurirsi in tempi rapidi».
Fermo l’export
L’apprensione è altissima anche tra gli imprenditori, e non sono pochi, che esportano in quest’area. Per la Savelli Technologies, azienda con 40 dipendenti specializzata in macchinari per fonderia, la Russia vale circa il 50% del fatturato che nel 2021 è stato pari a 21,3 milioni di euro.
«Per noi il problema è davvero serio, questo mercato è fondamentale - spiega Francesco Savelli -. È il primo Paese estero di sbocco». La Savelli ha installato molti impianti in Russia e Ucraina: «Dall’Ucraina alla Siberia. Mai avuto problemi di pagamento con i russi, mai un problema».
Nei mesi scorsi la società ha spedito in Russia la linea per la nuova fonderia in «Terra a Verde per il cliente Nizhegorodskiy Liteyniy Zavod (Nlz): commessa da 11 milioni, interamente pagata, per un impianto che produrrà blocchi e teste motore in ghisa per veicoli commerciali e industriali. «Un altro impianto è stato appena rinegoziato di 15 milioni per tenere conto dei rincari dei materiali, è invece ora stato bloccato - spiega Savelli -. Questo ordine ci avrebbe dato tranquillità per almeno due anni. Adesso ci aspetta un periodo pieno di incognite». La speranza ora è che la sciagura della guerra finisca presto.
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