Trump e dazi: a rischio anche vino, formaggi e salumi bresciani
Concluse le elezioni, anche il mondo agricolo inizia a fare i conti con la politica del 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America. L’insediamento sarà più avanti, ma le dichiarazioni in campagna elettorale vanno verso la conferma che Trump all’Europa non farà sconti tanto che la parola «dazi» è all’ordine del giorno per formaggi, vino e salumi.
Termine evocato anche da Renato Zaghini, presidente del Consorzio di Tutela Grana Padano, durante i lavori dell’assemblea generale: «Unica recente preoccupazione – ha detto – è che la vittoria di Trump possa indurre l’adozione di dazi che nel suo precedente mandato hanno penalizzato le nostre esportazioni negli Usa».
I numeri di Brescia
Per la nostra provincia i prodotti agroalimentari potenzialmente più a rischio dazi sono direttamente i formaggi (la nostra provincia produce il 23% di tutte le forme di Grana Padano di cui oltre 200 mila vanno negli Usa) e il vino (gli Usa garantiscono, come nel caso del Franciacorta, un prezzo medio molto elevato); indirettamente i salumi perché la nostra provincia è leader nell’allevamento suinicolo (con 1,3 milioni di animali) che costituisce la materia prima che sta alla base della migliore salumeria Dop a rischio dazi come il prosciutto crudo di Parma e di San Daniele.
Recenti ricerche hanno indicato in 50 milioni di euro il valore dell’export della nostra provincia dei prodotti alimentari e bevande negli Usa, ma calcolando l’indotto e le difficoltà che i dazi potrebbero creare alla produzione primaria di latte, uva (è vero però che nel primo mandato di Trump il vino italiano si è salvato dai dazi imposti alle produzioni europee e francesi) e carne è stimabile che il contraccolpo per l’agroalimentare bresciano potrebbe essere maggiore.
Assolatte, l’associazione italiana delle imprese del settore lattiero caseario, ha ricordato infatti che i dazi aggiuntivi del 25% ad valorem fissati a fine del 2019 su alcuni dei formaggi italiani più esportati avevano colpito duramente le imprese casearie. Tanto che nel 2020 l’export dei formaggi italiani negli Stati Uniti aveva perso oltre 6mila tonnellate, per un valore di 65 milioni di euro. Cui si sommarono altri 40 milioni di costi aggiuntivi. E adesso? Le minacce legate ai dazi sono tornate, ma cosa succederà è tutto da vedere.
Protezionismo
Trump durante il suo primo mandato il protezionismo la fece da padrone: oltre all’imposizione di dazi erano stati elargiti sussidi diretti agli agricoltori con lo scopo di rafforzare l’industria agricola statunitense. L’idea è di un maggiore sostegno agli strumenti di gestione del rischio potenziando l’accessibilità economica a tali strumenti ed offrendo – al tempo stesso – una protezione più solida agli agricoltori contro le incertezze del mercato e i rischi climatici. Quindi ad una prima conclusione – certamente superficiale, ma sicuramente con basi già delineate – si fa largo l’idea che l’Europa possa diventare un vaso di coccio economico rispetto alle due grandi potenze, Usa e Cina.
Bilancio agricolo
Con l’elezione di Trump alla Casa Bianca l’Unione Europea deve rafforzare il suo bilancio agricolo – sostiene Coldiretti – carente rispetto al Farm Bill, il programma di aiuti per gli agricoltori americani, che il neo presidente prevede di potenziare con una serie di misure fiscali e incentivi per rafforzare la produzione alimentare statunitense e incrementare la presenza sui mercati esteri.
La Politica agricola comune (Pac) vale 386 miliardi in totale fino al 2027 di cui 35 miliardi di euro per l’Italia, negli Usa il Farm bill vale 1.400 miliardi di dollari in dieci anni, con un gap profondo che penalizza gli agricoltori europei e che l’Ue dovrebbe impegnarsi a colmare per garantire la sovranità alimentare.
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