Torna l’incubo peste suina: casi alle porte della «food valley»
Un incubo aleggia ancora nelle prospettive dell’agricoltura italiana. Sì, certo alcuni risultati sono stati ottenuti come l'esenzione dell'Irpef agricola per i redditi agrari e dominicali fino a 10.000 euro che viene mantenuta per altri due anni od anche, con la stessa durata, la decurtazione del 50% dell'importo per i redditi tra i 10.000 e i 15.000 euro, ma pesanti nubi nere sono arrivate al cuore del food made in Italy. Stiamo parlando della peste suina africana, l’epidemia che ha lambito, nei giorni scorsi, la «prosciutto valley» arrivando alle porte di Langhirano.
Tutti presi con l’Irpef, la Pac, l’ambiente ed il clima ma i cinghiali - portatori del virus - circolano e rischiano di infettare la produzione che deriva dall’allevamento suino. Ribadiamo: il mondo scientifico ha, da sempre, detto che non ci sono conseguenze per l’uomo ma le ripercussioni ci saranno - eccome - per il sistema agroindustriale, per i posti di lavoro, per la bilancia commerciale e arriveranno anche per la politica.
Manca una strategia
Non è un problema di biosicurezza perché le aziende si sono - da tempo - attrezzate grazie anche ai vari sostegni regionali. Non è un problema di ristori perché il governo ha messo, e sta mettendo in campo, apposite - seppur complicate - disposizioni economiche. Il problema è avere una strategia per il futuro a breve, medio e lungo termine.
Già recentemente da queste colonne, Alberto Cavagnini imprenditore agricolo «top» bresciano e nominato allevatore dell’anno 2023 aveva sottolineato gli estremi pericoli in caso di continuo ritrovamento di cinghiali con la peste suina: «Possiamo parlare di oltre due miliardi se solo ipotizziamo una situazione che può protrarsi ed acuirsi nei prossimi 24 mesi. Ma questi potrebbero essere solo i danni diretti poi ci potrebbero essere quelli indiretti: dalla perdita di posti di lavoro, alle ripercussioni e chiusure di punti vendita ed ancora alle conseguenze negative per il prodotto made in Italy».
Le associazioni
Anche per Davide Calderone, direttore di Assica, Associazione di Confindustria che riunisce le aziende del settore, «la situazione è drammatica. Credo che l’unico modo per contrastare questo virus sia quello di definire gli obiettivi investendo in attività che si sono dimostrate di successo in altri Paesi, come la protezione degli stabilimenti che detengono suini e il controllo delle popolazioni di cinghiali a vita libera. Ancora, è necessario provvedere a prevenire e, se mai, controllare l’ingresso del virus della Psa - nonché di altri patogeni - attraverso la presenza di una zona filtro tra area aziendale sporca e pulita, l’impiego di prodotti efficaci per la pulizia e la disinfezione di attrezzature e ambienti, il corretto stoccaggio dei mangimi, il controllo degli ingressi, etc. Sul fronte selvatico, invece, si deve tener conto del fatto che la diffusione e il mantenimento della malattia sono fattori dipendenti dalla densità degli animali; occorre procedere con censimenti delle popolazioni di ungulati per poter ridurre opportunamente la loro presenza sul territorio».
Senza dimenticare, poi, che c’è anche un problema: la tempistica. La dimostrazione che occorre fare in fretta, molto in fretta viene - ad esempio - dal Belgio da dove - nelle scorse ore - è partita la prima spedizione di carne suina belga in Cina dalla revoca dell'embargo. Dopo 6 anni. La Cina aveva interrotto le importazioni di carne suina belga nel settembre 2018 a causa dell'epidemia di peste suina africana (Psa) in Belgio. Sebbene il Belgio sia stato ufficialmente dichiarato indenne dalla malattia nel 2020, il divieto di importazione è rimasto in vigore. E solo dopo anni di intensa cooperazione tra l’agenzia belga per la sicurezza alimentare Favv e le autorità cinesi, la Cina ha revocato l’embargo il mese scorso.
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