Solide e radicate nelle comunità: le piccole imprese fanno grande Brescia
Le piccole che fanno grande Brescia. La linfa del nostro sistema manifatturiero. Imprese radicate sul territorio, spesso di matrice familiare, legate ai dipendenti da un particolare rapporto fiduciario di collaborazione. Imprese che hanno una funzione economica ed esercitano (magari inconsapevoli) la responsabilità sociale. Aziende che alimentano il benessere e garantiscono l’equilibrio delle nostre comunità. Imprese come le 500 presenti nello studio condotto dal Giornale di Brescia e dal prof. Claudio Teodori dell’Università statale e che oggi trovate in allegato al quotidiano e online su bilanci.giornaledibrescia.it (dati filtrabili e consultabili in modo interattivo, disponibile per gli abbonati).
Una ricerca presentata ieri nell’aula magna di Economia, che ha permesso di riflettere più in profondità sulla cultura industriale e d’impresa nel Bresciano. Partendo dagli stimoli offerti da Paolo Bricco, giornalista del Sole 24 Ore, autore del libro «Adriano Olivetti, un italiano del Novecento» (Rizzoli). La straordinaria biografia di un grande imprenditore visionario che univa, parole di Bricco, «fattore tecnologico ed elemento umano»; un «innamorato della fabbrica con l’ossessione di non trasformare i suoi operai in schiavi della stessa».
Relatori
La fabbrica
Olivetti, ha ricordato Bricco, coltivava l’ambizione di realizzare «una fabbrica efficiente e umana allo stesso tempo». È la ragione per cui nell’azienda di Ivrea c’erano ingegneri, ma anche sociologi, psicologi, intellettuali, scrittori. Adriano, secondo il suo biografo, «era un pezzo di cultura industriale, sociale, politica del Novecento italiano portata all’eccesso». L’esponente - all’ennesima potenza - di un modo di sentire e di agire diffuso nel contesto del nostro Paese e dell’Europa. Non è ovviamente il caso di fare paragoni, ma alcuni elementi del modello olivettiano si rintracciano anche nel sistema delle nostre pmi. Ad esempio il legame con il proprio territorio e la sua gente, come hanno sottolineato sia Franceschetti (la Gefran a Provaglio) che Pasini (la Feralpi a Lonato). Un rapporto nato all’epoca dei loro padri, fondatori delle aziende.
«Fondamentale - parole di Maria Chiara Franceschetti - è sempre il dialogo con i nostri dipendenti». Brescia, secondo Pasini, «è unica per il particolare senso di attaccamento al lavoro e per la collaborazione fra le parti sociali». Ha sottolineato «la solidarietà del periodo del Covid, con le fabbriche che hanno riaperto. C’è una speciale relazione nata anche con gli scontri sindacali; adesso, però, la nostra manifattura ha un grande capitale umano, con valori che vanno trasmessi ai giovani».
Talenti
A proposito di giovani, Adriano Olivetti era un grande attrattore e promotore di talenti. Alla Gefran, parole di Franceschetti, «coltiviamo un vivaio di giovani con formazione retribuita. Le aziende devono evolversi e cambiare con i giovani, che vanno cresciuti e tenuti in azienda». Secondo Giancarlo Turati va riscoperto il valore del lavoro: «Soprattutto i giovani devono capire che esso è un elemento di ogni progetto di vita». Gli imprenditori, tuttavia, «devono essere coerenti con la loro dichiarata visione industriale e sociale». Un altro elemento che si ritrova nel modello olivettiano, ma anche nella nostra cultura d’impresa, è stato detto, è l’amalgama fra possesso della tecnica, inventiva che viene dalla manualità, passione. L’ingegnere e l’«artigiano», uno scambio virtuoso di conoscenze, praticato nelle piccole che fanno grande Brescia. Imprese «che rappresentano una forza del nostro territorio», ha ribadito Pierpaolo Camadini, presidente dell’Editoriale Bresciana. Storie di successo, parole sue, «che ci stimolano ad essere autentici nelle relazioni per essere più solidali e far crescere ancora il territorio».
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