Economia

Smart working per 1,8 milioni di lavoratori. E nella Fase 2?

Il nuovo decreto di fatto non modifica le previsioni rispetto ai precedenti Dpcm dell'emergenza coronavirus
Smart working al tempo del coronavirus - Foto Junjira Konsang
Smart working al tempo del coronavirus - Foto Junjira Konsang
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«Sette milioni e 800mila lavoratori sono stati sospesi con il lockdown e molti lavorano con smart working, quindi solo il 25% lavoratori ha lavorato in presenza, ma dal 4 maggio ritorneranno a lavorare in presenza 4,5 milioni di persone». La stima è del direttore Inail Iacobello.

Quanti siano effettivamente coloro che hanno avuto accesso all'attività in smart working lo rivela il Ministero del Lavoro: 1 milione e 800mila nel settore privato, di cui più di 1,6 milioni attivati a seguito delle norme anti-Covid. Per l'esattezza al 29 aprile risultano complessivamente 1.827.792 lavoratori in questa modalità; di cui ben 1.606.617 attivati a seguito delle norme sull'emergenza epidemiologica.

Emergenza che dunque ha comportato «un radicale e repentino ripensamento dell'organizzazione del lavoro in nome della tutela della salute delle persone», sottolinea lo stesso ministero del Lavoro. «Per la prima volta lo smart working è diventato, dunque, una modalità necessaria, sebbene solo fino a qualche mese fa fosse ritenuto un'alternativa ancora sperimentale, una componente parziale di un più ampio processo di digitalizzazione del lavoro».

Già ma cosa sarà dello smart working al termine del lockdown? Nel nuovo testo normativo (il Dpcm del 26 aprile), si ribadisce la necessità di ricorrere a modalità di collegamento da remoto per riunioni e attività analoghe (articolo 1, punto t), come pure la possibilità per i datori di lavoro del settore privato così come, più genericamente, nell'ambito del lavoro subordinato di continuare ad applicare la modalità di lavoro agile anche in assenza degli accordi individuali (articolo 1, punto gg).

Quanti proseguiranno lungo la via che si è aperta sull'onda dell'emergenza? A calcolarlo ci prova uno studio che rivela come il 46% delle aziende non aveva fatto uso dello smart working prima della diffusione del coronavirus e ora solamente l'1% prosegue sulla stessa linea.

L'indagine di Hc, società di formazione, coaching e outplacement controllata da Openjobmetis, unica Agenzia per il lavoro quotata in Borsa Italiana, che ha coinvolto oltre 200 aziende (direzione personale, formazione e sviluppo), con l'obiettivo di indagare gli effetti del coronavirus sulla gestione delle risorse umane. 

In precedenza solamente il 7% delle imprese cercava di estendere a tutti la possibilità di optare per il lavoro a distanza, contro il 45% attuale. Un fenomeno che non mostra variazioni significative tra società di piccole, medie o grandi dimensioni. Per lo smart working al termine del periodo di lockdown, il 66% degli intervistati risponde con una chiara intenzione di non tornare sui propri passi, ma di impegnarsi a estendere la pratica in maniera significativa.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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