Siccità, rincari, margini ridotti: l'agricoltura è in affanno
L’anticamera di una economia di guerra. L’agricoltura per prima sta saggiando una situazione molto complicata con implicazioni economiche difficili da decifrare volendo restare positivi e cercando di guardare al futuro con una prospettiva di sostenibilità economica delle aziende agricole.
Ma come si può fare di fronte a siccità, caldo, aumento dei fattori di produzione e margini risicati al di sotto dei costi di produzione? È questo l’interrogativo che attanaglia in questo momento il mondo agricolo bresciano. «Senza dubbio oggi i prezzi di alcuni prodotti agricoli, come latte e carne, sono più alti rispetto alla media degli ultimi anni, ma è altrettanto certo che questo è dovuto ad un calo della produttività - spiega Valter Giacomelli presidente di Coldiretti Brescia -. Purtroppo i margini per una azienda agricola sono ancora negativi perché tutti i fattori di produzione sono aumentati talmente tanto che sono fuori controllo.
Basta pensare ai costi dell’energia, del gasolio, dei mangimi, dei fertilizzanti e dei ricambi. Stiamo parlando di aumenti del 150% in più. Inoltre, non c’è più acqua per irrigare e stimiamo un danno per l’agricoltura bresciana di 500 milioni di euro. Una situazione drammatica quella della nostra agricoltura - continua Giacomelli - che i consumatori non hanno ancora compreso appieno, ma che già vedono gli effetti negli aumenti generalizzati dei prezzi dei beni di consumo».
D’altra parte i trinciati del secondo raccolto saranno in gran parte persi dopo che quelli del primo sono andati in deficit.
Scenari
Tra qualche mese i foraggi, come il fieno, rischiano di essere introvabili e la conseguenza potrebbe essere quella di una drastica riduzione del patrimonio zootecnico e di conseguenza di prodotti come formaggi e salumi. Non è un allarme, ma la descrizione di una situazione che oggi non vede una via di uscita. I suini quotano più di 1,80 ero al chilo, il latte spot viaggia sopra i 50 centesimi al litro, la carne bovina veleggia sopra i 5 euro, il mais ha un prezzo di 363 euro la tonnellata, orzo e fumento sono oltre i 350 euro e la soia è a quasi 600 euro la tonnellata. Livelli alti, molto alti destinati a crescere ancora.
Il problema è che per gli agricoltori non c’è marginalità e i consumatori hanno una capacità di spesa sempre più limitata poiché l’inflazione fa sentire il suo peso. «Non ci si rende conto - evidenzia Giovanni Garbelli presidente di Confagricoltura Brescia - delle ripercussioni e della gravità che questa situazione avrà sull’economia e sulla popolazione nei prossimi mesi. Perché non avere i raccolti in estate implica effetti devastanti sulla tenuta dei prezzi in autunno.
Dovrebbe essere un dato di fatto, invece non si riesce ad andare oltre il contingente. L’agricoltura è il sistema primario e soddisfa bisogni primari: è per questo che viene sostenuta e dovrebbe avere priorità su tutto il resto».
Il rischio
Anche perché il taglio dei raccolti causato dall’incremento dei costi e dalla grave e perdurante siccità rischia di aumentare ulteriormente la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti agroalimentari, con l’Italia che è già obbligata ad importare il 64% dei cereali e il 50% della carne. Inoltre va ricordato che per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori, ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi.
Le ricette per contrastare l’attualità si aggrappano ad un lavoro da cercare di concretizzare in tempi brevi, per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con la grande distribuzione per prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali, ma è necessario investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità e applicare le nuove tecnologie.
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