«Siamo tutti imprenditori, nessuno è al sicuro»
Un po’ imprenditori, di sicuro molto precari. E probabilmente infelici, sballottati tra l’euforia e la paura, gli estremi concomitanti di una vita vissuta «in beta permanente». Chiamiamolo Entreprecariat, in italiano «imprendicariato», ovvero la condizione sperimentata ogni giorno dai lavoratori in un mondo che è stato trasformato in «una mastodontica startup», in cui tutti sono obbligati ad agire da risk-taker.
Il neologismo lo si deve a Silvio Lorusso, designer e ricercatore di stanza ad Amsterdam, come titolo di un blog lanciato nel 2016 e che nel 2018 è diventato un libro omonimo edito dalla bresciana Krisis Publishing (pp. 228, 18 euro). Partendo dalla sua esperienza, Lorusso propone un’analisi della società in cui la precarietà è una norma ma anche uno stato mentale tale per cui, per non soccombervi, è necessario sviluppare una mentalità imprenditoriale. Il libro parla di imprenditori, ma non è un’agiografia di Steve Jobs. E nemmeno un manuale «per farcela».
«Benvenuti nell’imprendicariato, dove lo spirito imprenditoriale, più che una benedizione, rappresenta una condanna». Gli «imprenditori di se stessi» sono i ricercatori, i freelance, i disoccupati, quelli con partita Iva e almeno tre lavori per avere un reddito decente, i creativi che per dare forma ai loro progetti fanno i fattorini per Amazon. Il fatto è che, sostiene Lorusso, la logica dominante la società devota a San Precario e che spinge a promuovere se stessi come prodotti genera una serie di valori di riferimento paradossali (gli ironizzati «core values»).
Massacrati dall’instabilità, i protagonisti dell’imprendicariato devono mantenere un atteggiamento positivo e propositivo, pena essere tagliati fuori dal mercato. Si è sospinti all’emulazione di Elon (Musk) anche se non si è nella posizione per farlo. E allora il motto diventa «Fake it till you make it», fingi finché non ce la fai. Ma non solo. L’imprendicariato è lo status symbol di quelli che si dicono perennemente occupati, con senso di colpa annesso quando non lo sono. È l’app che aiuta a ottimizzare il tempo ma è anche qualcosa che sta trasformando lo spazio intorno a noi. Caffè, ristoranti, sale d’attesa, perfino la camera da letto: i nomadi digitali lavorano ovunque e l’ufficio continuo non ha più confini. Anzi, sono le stesse piattaforme digitali a esacerbarne le dinamiche (come LinkedIn, Fiverr e GoFundMe, che Lorusso passa in rassegna nell'ultimo capitolo). Non è lo scenario pessimista di un intellettuale. Si pensi solo che a Brescia la categoria dei precari conta migliaia di persone . Quanti di loro potrebbero raccontare se stessi in questa chiave?
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