Rileggere l'evoluzione del lavoro attraverso le lotte operaie
«Storie di lotte operaie» di Osvaldo Squassina e Renzo Bortolini è un bel libro di storia locale. Poi quella storia raccolta e raccontata dai due sindacalisti Fiom può a qualcuno piacere o non piacere, ma questo è un altro discorso: non sposta però che se gli infortuni nelle fabbriche si sono ridotti, se si è arrivati ai premi di risultato, se a chi lavora viene riconosciuta una sacrosanta dignità, se gli imprenditori hanno scelto di corrispondere integrazioni al reddito contro il caro vita, se la sostenibilità è sempre più un dovere, se la parità di genere è sempre più estesa, se la charity è sempre più diffusa, se il premio anti-sciopero non c’è più e i reparti confino sono stati chiusi, se nelle fabbriche sono arrivate le diete personalizzate e gli asili nido, molto gli operai di oggi lo devono agli operai di ieri che dagli anni Sessanta in avanti hanno sacrificato parte dello stipendio in favore di quelle che potevano apparire battaglie ideologiche, ma in realtà si sono rivelate (considerato come erano le relazioni industriali ieri e come lo sono oggi) un confronto etico.
Il volume
La presentazione nell’Aula Magna dell’Università di Brescia - moderata da Massimo Tedeschi - del libro ha offerto ieri numeri assembleari d’altri tempi: più di duecento persone, vecchi, giovani, silenziosamente attenti, in cui c’erano le storie dell’aristocrazia operaia e di quella sindacale bresciana che, proponendosi come un laboratorio sindacale come più volte abbiamo visto ha così dettato la linea al sindacato nazionale.
Per esser lette, quelle storie, servono i numeri, che aiutano a capire la drammaticità di alcuni momenti: come alla Marzoli di Palazzolo dove tra il 1959 e il 1968 (l’Italia era uscita a pezzi dalla guerra, come disse Bruno Boni (in molte vertenze mediatore ndr) «avevamo tutti le pezze sul culo», il lavoro c’era, ma a Brescia c’erano anche 36.000 disoccupati, l’emigrazione era intensa) i dipendenti erano scesi da 1983 a 1092 dopo duecento ore di sciopero; il primo pensiero corso alla mente ieri e stato allora «Cosa accadrebbe oggi?», considerando che altri 492 licenziamenti erano stati alla De Angeli Frua di Roè, 200 alla Olcese di Cogno ed altri ancora al Lanificio di Gavardo.
Le storie
Numeri ma anche storie individuali della working class come quella di Agostino Lazzaroni, sindacalista Uilm di Palazzolo, che nel 1954 parte per gli Stati Uniti per partecipare a un progetto riservato ai sindacato definiti «liberi» cioè non legato ai comunisti. Stipendio pagato dai trade unions statunitensi tre volte quello che percepiva in Marzoli. Per i giovani e per i manager delle risorse umane è un libro indispensabile, aiuta a capire stagioni complesse, intricate, contaminate da interessi estranei al lavoro come la strategia della tensione, stagioni che le scienze legate all’organizzazione aziendale, mercato, tecnologia e internazionalizzazione hanno consentito di buttarci alle spalle, sperando non tornino mai più.
I racconti
Squassina e Bortolini aprono ai giovani gli occhi su problemi drammatici come la perdita del lavoro («Il lavoro costruisce la società - ha detto Papa Francesco - è un’esperienza primaria di cittadinanza, che crea comunità»), anticipano storie che oggi appartengono (quasi) all’ordinarietà con la parità di genere. Di Giulia Marelli di Sarezzo, ex operaia della Palazzoli, raccontano gli autori il primo giorno di lavoro il 13 marzo 1963, quindicenne (!) adibita al reparto cassettame.
Al termine della giornata era sfinita per la stanchezza.... con la febbre. Nonostante ciò, il giorno successivo si presenterà ugualmente al lavoro per paura di perdere il posto.... il lavoro era molto pesante (forava con il trapano cassette di ghisa per contenere i quadri) che svolgerà per cinque anni per essere poi trasferita al meno pesante montaggio. E poi, molto altro ancora, con racconti delle vertenze in Atb, Beretta, Pietra, Eredi Gnutti, rinnovi contrattuali. Storie antiche, da cui tutti hanno imparato. Imprenditori e lavoratori.
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