Prezzi alle stelle e viaggi più lunghi: la crisi del Mar Rosso frena le imprese
Al domino delle crisi geopolitiche che si riverberano sull’economia bresciana si aggiunge un altro tassello: il Mar Rosso.
Gli attacchi ai convogli commerciali da parte dei ribelli yemeniti degli Houthi ed i relativi bombardamenti anglo-americani contro le loro postazioni, rischia di pesare non poco sull’interscambio delle aziende bresciane che vedono (o vedevano) le merci transitare attraverso il canale di Suez, passaggio privilegiato per il 12% del commercio internazionale, il 10% del petrolio e l’8% del gas.
Solo nell’ultima settimana, stando ai dati registrati dai porti italiani, il canale che collega il Mar Rosso al Mediterraneo avrebbe visto un calo del 35/40% del transito delle navi e dei loro container, cui si affianca un esponenziale aumento dei costi legati all’ingaggio di tratte differenti.
Interscambio bresciano
Stando ai dati forniti dal Centro Studi di Confindustria Brescia su dati Istat nel periodo gennaio-settembre 2023, l’export verso i Paesi che si affacciano sul Mar Rosso (Arabia Saudita, Egitto, Eritrea, Gibuti, Giordania, Israele, Sudan e Yemen) vale 289,9 milioni di euro, che diventano 308,4 se si aggiunge anche l’Iran (complessivamente, il 2% del totale mondo). L’import dalle medesime zone, dal canto suo, di milioni ne vale circa 65, che diventano 65,7 con l’Iran (lo 0,9% del totale mondo).
Se a questo si aggiungono i convogli marittimi che transitano nel canale per dirigersi verso l’Asia, si comprende dunque che per tutte le nostre imprese che bazzicano queste rotte l’impatto dell’ennesima crisi nel canale di Suez sarà salato. Forse anche più di quanto lo fu nel lockdown o quando la tratta fu bloccata dalla Ever Given incagliata.
Impennata dei costi
«Il contraccolpo di questa ennesima emergenza nel canale, la terza in pochi anni, è duplice – commenta il presidente di Confapi Brescia, Pierluigi Cordua -: da una parte, assistiamo ad un rincaro dei costi per il trasporto dovuti alla necessità di sostituire la tratta con una più lunga, che comporta circa 15 giorni in più di viaggio ed evidenti surplus di spesa sia per il carburante che per le maestranze.
Dall’altro registriamo aumenti importanti anche sul fronte dei noli e delle assicurazioni, in parte dovuti ai maggiori rischi ma certo forieri di speculazione». Del resto, è lo stesso Containerized Freight Index a registrare nell’ultimo mese una impennata del 106% del costo dei noli, un dato che rischia di lievitare ulteriormente se la situazione non si stabilizzerà.
Le difficoltà
Inutile dire che le difficoltà per le imprese bresciane ci sono. Non solo sul fronte dei costi della logistica, ma anche dell’organizzazione delle commesse, in evidente ritardo per il cambio di tratta. «Al momento stiamo registrando difficoltà per la merce che arriva dal Giappone, per l’aumento dei costi ma anche per lo slittamento nelle consegne», dice Giovanna Montiglio di Omb Saleri, mentre lo stesso Cordua dichiara di avere alcune criticità anche nella sua azienda, la Isve spa, che realizza impianti industriali per il settore del legno e del riciclaggio.
«Sino al 2019 aveva uno stabilimento in Cina dove facevamo impianti industriali e semilavorati per il mercato europeo, e per alcuni componenti ci approvvigioniamo ancora lì. Ad oggi però la fornitura registra almeno due settimane di ritardo, con commesse saltate e accordi da rifare, oltre ai costi dei noli lievitati». Poi aggiunge: «Abbiamo già ricevuto segnalazioni dalle nostre iscritte: c’è chi è stato costretto a ricorrere al trasporto aereo in alternativa a quello marittimo. Se la situazione non si stabilizzerà – conclude - le conseguenze saranno pesanti, con il rischio di importare ulteriore inflazione».
Per il vicepresidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione, Mario Gnutti: «Per ora non abbiamo registrato situazioni che comportino rischi sulla continuità operativa delle nostre aziende.Questa situazione è l’ennesima conferma di quanto sia importante fare scelte strategiche di supply chain. Sarà importante osservare anche l’evolversi di situazioni specifiche come quella di Tesla, che ha fermato la propria fabbrica di Berlino a causa della crisi del Mar Rosso».
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