Più debito pubblico e meno sviluppo: la crisi demografica inguaia l’Italia
Senza ricambio generazionale adeguato, in termini quantitativi e qualitativi, un Paese non ha futuro. Servono giovani attivi e preparati, capaci di garantire lo sviluppo, che significa risorse per la spesa pubblica, gli investimenti, l’innovazione e la ricerca. L’Italia è messa male. Il continuo calo della natalità associato a una percentuale record di Neet (giovani che non studiano, non lavorano, non sono in formazione) e alla bassa occupazione femminile sta pregiudicando l’avvenire. Siamo ancora in tempo per invertire la rotta, ma occorre agire subito. Peccato che la politica, in concreto, faccia poco o nulla in tal senso.
L’inverno demografico può diventare primavera soltanto con scelte di lungo respiro, che non danno un immediato riscontro elettorale.
Brescia, ovviamente, non fa eccezione; anzi, sentiamo più di altri territori il peso di questa emergenza sul nostro sistema economico, che fatica a trovare giovani lavoratori formati.
Di questo e molto altro si è parlato ieri all’Auditorium Capretti nell’incontro promosso dal Gruppo Brixia del Rotary dal titolo «La situazione demografica in Italia: effetti economici e sociali». Presenti Alessandro Rosina (docente di Demografia e statistica sociale alla Cattolica di Milano), Matteo Rizzoli (docente di Politica economica alla Lumsa), Gigi De Palo (già presidente del Forum delle famiglie e presidente della Fondazione per la natalità), che hanno inquadrato il tema. Sul terreno più bresciano hanno discusso Franco Gussalli Beretta (presidente Confindustria), Pierluigi Cordua (presidente Confapi), Federica Di Cosimo (Ufficio scolastico provinciale) e Roberto Rossini (presidente Consiglio comunale di Brescia).
Maglia nera
In Italia la media dei figli è di 1,2 per donna contro l’1,8 della Francia (record in Europa). Nel 2022 i nuovi nati sono stati 393mila, in calo da molti anni. Secondo l’Istat, entro il 2033 dobbiamo risalire ad almeno 500mila per evitare il crollo del sistema. Scontiamo la somma di più fattori negativi. La bassa natalità potrebbe essere in parte compensata dalla possibilità di valorizzare di più i giovani nel mondo del lavoro: invece siamo maglia nera europea dei Neet (peggio di noi solo Bulgaria e Romania). D’altra parte, giovani non inseriti nel processo economico non sono in grado di fare un progetto di vita e dunque di formare una famiglia (con figli). La bassa occupazione femminile (determinata dalla carenza di servizi e di incentivi e dalla mancanza di politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro) penalizza a sua volta la natalità. Eppure, secondo indagini statistiche, le donne italiane manifestano un grande desiderio di maternità, pari a 2,4 figli ciascuna. Vogliono, ma non possono.
La denatalità ha conseguenze disastrose. Significa più costi per pensioni e sanità, un rapporto insostenibile fra debito pubblico e Pil, più tasse per mantenere lo stesso livello di infrastrutture e beni pubblici. Per le imprese vuol dire meno economia di scala, più costo del lavoro, meno profitti, investimenti e innovazione. Quanto alle famiglie, la cui ricchezza è per il 54% fatta di beni immobili, meno giovani si traduce con meno domanda di abitazioni e dunque con il calo del loro valore. Risultato: avanti così e scenderemo di molto nella classifica dei Paesi più forti e sviluppati del mondo.
Brescia
Non si tratta solo di mettere in campo singole azioni, ma di far diventare centrale il tema demografico. Trasformare l’Italia, da Paesi di over 65, in Paese anche per i giovani. Difficile, però, quando i talenti che ci sono spesso se ne vanno (è stato ricordato che tra famiglia e Stato la formazione di un giovane dai 0 anni alla laurea costa in media 330mila euro: un capitale di cui beneficiano all’estero).
Le imprese bresciane, hanno ricordato Franco Gussalli Beretta e Pierluigi Cordua, da tempo scontano la carenza di capitale umano da valorizzare nelle aziende. Come associazioni e singoli imprenditori operano su formazione e welfare aziendale, ma è indispensabile una strategia nazionale da parte della politica. Un contributo possono dare anche i Comuni, ha sottolineato Roberto Rossini. Brescia, ad esempio, punta sui servizi educativi per le famiglie, su un contesto favorevole alle giovani coppie, sullo sviluppo della città universitaria.
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