Perché nessuno vuol più andare in fabbrica: segnali di vitalità all’ombra dei campanili
Riprendo quasi paro paro il titolo che Il Sole24Ore ha fatto al pezzo di Aldo Bonomi (il sociologo) e ai suoi «Microcosmi». Il tema è interessante e potrebbe essere utile anche a noi bresciani. Nel gran dibattito e sugli scenari macro che vedono muoversi sullo scacchiere nazionale nuove aggregazioni e formulazioni territoriali (smart land e/o smart city), Bonomi mette la lente sui suoi microcosmi per raccontarci di quel che hanno deciso di fare a Lecco dopo aver pure loro verificata la difficoltà a trovare personale, ma soprattutto personale disposto e pronto a lavorare in fabbrica. Il discorso andrebbe lungo ma è un fatto che il «fascino» in qualche caso o il più modesto interesse a lavorare in una fabbrica in molti altri casi, di fatto si sta dissolvendo.
Ecco la domanda: come ricucire un divario fra valori diffusi e fabbrica? Che è un po' come dire: come fare ritrovare un senso o come dare un nuovo senso al lavoro nella fabbrica? Come si rimettono insieme le cose fra i desideri di chi è giovane e la necessità di chi cerca addetti? Al di là ed oltre, viene da dire, le qualificazioni, quelle verranno dopo. La domanda è: perché la gente non vuole più andare in fabbrica mentre un tempo quello era un traguardo? A Lecco la chiacchiera è appena partita e quindi, fra un po' speriamo di avere l'esito del lavoro e della riflessione. Ma è interessante che la cosa sia partita.
Negli anni Novanta, l'allora presidente di Aib Brescia, Giovanni Dalla Bona, presentò in Camera di commercio (affollatissima) il risultato di una ricerca affidata a Nomisma. A dibattere venne, fra gli altri, Romano Prodi, credo fra i fondatori di Nomisma e con un avvenire politico di là a venire. Fra le altre ne uscì una domanda fra il pubblico: perché la gente non vuole più fare lo straordinario, perché non vuole più venire a lavorare al sabato mentre fino ad un po' di anni prima le fabbriche dove si sapeva che si facevano tanti straordinari erano le preferite? Sorrido anch'io mentre scrivo quella domanda: sembra preistoria.
E invece, naturalmente, è la storia di gente che uscita dalla Guerra voleva affrancarsi, costruirsi una casa, farsi la macchina, e che se faceva un baffo delle dieci ore al giorno visto che in campagna ne facevano dodici per la metà della metà della paga. Ma oggi, commentò il professore, la casa i figli un po' l'hanno e quindi perché inorridire se quei figli vogliono un po' più di libertà?
Mi sa che bisogna ripartire da là: da quel che si ha, dai nuovi sogni, le nuove esigenze eccetera eccetera.
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