«La spesa previdenziale non si riduce allungando l’età pensionabile»
Da anni sentiamo i governi spiegare che la prima soluzione alla continua crescita della spesa per pagare le pensioni è l’allungamento dell’età pensionistica. Per il direttivo bresciano e nazionale del Sindacato pensionati italiani della Cgil, che ieri a Villa Fenaroli ha organizzato il convegno «Pensioni povere e spesa previdenziale», le soluzioni sono altre.
Stando all’analisi sulle prospettive non rosee della previdenza nazionale del segretario nazionale di Spi Cgil, Lorenzo Mazzoli: «Per reggere il sistema pensionistico italiano avrà bisogno soprattutto di una nuova e migliore qualità dell’occupazione, oggi costituita per i giovani da stipendi bassi e lavoro discontinuo, elementi che hanno creato un esercito di 6 milioni di persone con reddito annuo sotto gli 11.000 euro.
Con contribuzioni così basse – ha osservato il sindacalista – in futuro anche allungando il periodo lavorativo non sarà più possibile ai lavoratori attivi pagare le pensioni a chi li avrà preceduti e sarà a riposo. Oltre alla qualità del lavoro poi è indispensabile che il Paese torni a crescere dal punto di vista produttivo, che emerga almeno una parte dei 130 miliardi annui di evasione fiscale, che aumenti il numero di donne occupate e che i lavoratori immigrati vengano gestiti con più lungimiranza: senza lo sviluppo di questi elementi l'innalzamento dell’età pensionistica sarà inutile».
Il confronto
A suffragio di quest’idea di fondo, i relatori del convegno Mauro Paris, Antonio Misiani, Roberta Palotti, Roberto Ghiselli e lo stesso Lorenzo Mazzoli, hanno portato numeri e valutazioni esperte.
Ad aprire i lavori, di fronte a una platea numerosa e introdotto dalla coordinatrice Alessandra Del Barba, è stato il segretario di Spi Cgil Brescia, Mauro Paris. «Non è vero che le leve per controllare la spesa pensionistica sono l’alleggerimento degli assegni e l’allungamento degli anni di lavoro – ha detto –. Nel decennio 2014-2023 il costo delle pensioni (oggi 16 milioni di percettori in Italia) è cresciuto del 17%, quindi meno dell’inflazione, mentre la spesa assistenziale è schizzata in alto del 126%. I problemi su cui concentrarsi sono il modello a ripartizione e l’indebolimento del sistema produttivo, con l’industria in ribasso per 21 mesi consecutivi e le ore di cassa integrazione aumentate in autunno del 1.200%, ben più che la contrazione della spesa pensionistica».
All’orizzonte
«Una spesa che comunque – ha precisato il senatore e responsabile Economia della segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani – nel 2023 è stata ridotta di 3,7 miliardi di euro, a fronte di una erogazione complessiva di 317 miliardi. Non ci sono rivoluzioni nell’azione del governo in carica, ma una chiara azione che sta eliminando progressivamente tutte le possibilità di lasciare il lavoro con le agevolazioni in essere fino a un paio di anni fa».
A fotografare la situazione con tanti dati e grafici ci ha pensato il presidente di Civ Inps, Roberto Ghiselli, mettendo in evidenza come nel rapporto tra la spesa pensionistica e il Pil l’Italia abbia la peggior condizione d’Europa assieme alla Grecia, entrambe oltre il 16%, con la media Ue al 13%, la Francia al 15% e la Germania al 12%. Sempre Ghiselli ha ricordato come stando alle stime 2023-2070 del rapporto tra spesa per pensionistica e Pil, l’aggravio maggiore sarà toccato nel 2040 con il raggiungimento del 17%, poi inizierà il calo. Un assist per Mazzoli: «Succederà perché crescerà il Pil o perché le pensioni dei giovani d’oggi avranno perso ancora più consistenza?».
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