Pensioni, il lavoro precario e discontinuo taglia l’assegno
Da diversi anni l’Inps promuove una campagna a favore dei giovani affinché si occupino della loro pensione fin dall’inizio della carriera lavorativa e non solo nella fase finale. Ai neoassunti dopo il 1995 è stato applicato il regime di calcolo della pensione con il metodo contributivo: in altre parole, il loro futuro assegno di quiescenza sarà calcolato in base ai contributi versati nel corso della vita lavorativa.
Ciò comporta che chi ha un rapporto di lavoro precario, spesso pagato meno di uno a tempo indeterminato, versi all’Inps una quota di contributi «ridotta» e che nel lungo periodo non consente di riscuotere una pensione proporzionata al costo della vita. Ad aggravare la posizione previdenziale dei giovani lavoratori (ma non solo la loro) vi è anche la discontinuità dei versamenti previdenziali. Con sempre più frequenza, ai nuovi assunti sono proposti contratti a tempo determinato, anche di durata di pochi mesi, e discontinui tra di loro (in sostanza tra un lavoro e l’altro, se non sono susseguenti, si creano dei «buchi» previdenziali). Anche questo fenomeno, inevitabilmente, penalizzerà il valore della futura pensione del lavoratore e, in via generale, grava fin da subito sulle casse dell’Inps. A tal proposito non va dimenticato che il sistema previdenziale italiano è basato su un modello «a ripartizione» in cui le pensioni sono finanziate dai contributi pagati dai lavoratori, che sono proporzionali al loro salario.
Ecco perché quando si parla di pensioni non si può non prendere in considerazione il trend del mercato del lavoro. Prendiamo il caso di Brescia, tra le province d’Italia più produttive. Dopo le difficoltà subite all’inizio del 2020 con lo scoppio della pandemia, nel triennio successivo il nostro tessuto manifatturiero ha recuperato il passo perduto e anche i dati dell’occupazione sono andati in crescendo: si è passati dai 533mila lavoratori del 2020 (su una popolazione complessiva di 1 milione e 200mila abitanti) ai 549mila del 2023. Nello stesso periodo il tasso di occupazione è salito dal 50,4 al 51,5% (fonte Istat), ma ancora inferiore ai livelli pre Covid (pari al 52,3%).
Per di più, a peggiorare la situazione (anche dal punto di vista previdenziale), si è registrato un aumento dei contratti precari. Seppur il saldo tra assunzioni e cessazioni sia rimasto positivo nell’ultimo lustro, nello stesso periodo si è rafforzata la tendenza dei contratti precari. Un recente rapporto dell’Inps conferma che nel 2023, a Brescia, sono state avviate oltre 174mila nuove posizioni di lavoro: solo il 19,1% era a tempo indeterminato.
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