Omr, nuovo capannone da 40 milioni
Magnifico. Quasi da piangere. E ancor più grande lo spettacolo lo sarà a giugno, quando - zeppo di nuove macchine - comincerà a macinare fatturato. Colpo d'occhio raro - commovente di questi tempi - il nuovo capannone della OMR di Rezzato: 20 mila metri quadri coperti, termocondizionato estate e inverno, 40 milioni di investimento fra macchinari e struttura. Da solo, il nuovo capannone porterà un 70-80 milioni di fatturato aggiuntivo al Gruppo guidato da Marco Bonometti che vede un 2013 in crescita del 25% - ripeto: +25% - sull'anno scorso e quindi toccherà i 600 milioni complessivi di ricavi.
Siamo sotto il capannone anti-Cina, come lo definisce lo stesso Marco Bonometti. Una piazza d'armi nella quale per ora si è installata la prima linea di lavorazione delle 12 che completeranno la struttura.
Perchè anti-Cina? Siete in tanti a comprare e produrre laggiù. Si è pentito?
«Non sono pentito. E alcune cose continuo ad importarle. Ma solo alcune. Le altre, molte altre - quelle tecnologicamente più avanzate - quelle le faccio qui. Per questo dico che questo è il capannone anti-Cina: perchè faremo lavorazioni con qualità e tempi che in Cina (e dappertutto) se li sognano».
Interessante, verrebbe da dire. Mi sta dicendo che ha trovato - meravigliosamente - la ricetta per far tornare in Italia le aziende?
«Noi siamo fra questi. E' stato utile andare a scoprire nuovi mercati. E il mio Gruppo produce e vende in tutto il mondo. Ma sa cos'ho scoperto?».
Dica dica...
«Che il posto migliore per fare industria è qui a Rezzato, qui in Italia»
Senta Bonometti, siamo seri. Lei è l'unico imprenditore italiano che dice queste cose. Toh: sarete in cinque o sei. Non si sente altro che inveire contro l'Italia, da parte soprattutto dei suoi colleghi imprenditori.
«Io parlo per me. Ma guardi che non sono l'unico a pensare questo. So di gruppi dell'automotive che stanno riportando dentro le produzioni. Certo: devi avere un progetto e sapere cosa vuoi».
E lei, la OMR, cosa vuole, cosa volete? Come fate (o avete fatto) a diventare così competitivi?
«Due cose, anzi tre: qualità e innovazione e quindi investimenti e poi ancora investimenti. Vede questa prima linea? Non le dirò della sua capacità produttiva perchè è bene che anche i concorrenti tribolino un po'. Ma le garantisco che nessun Gruppo cinese o tedesco, per non dire americano, riuscirà a fare quel che faremo noi. Qui abbiamo fatto innovazione di processo: cose che facevano altri con tante macchine, noi le faremo con macchine dimezzate. Sa che vuol dire? Che a parità di investimenti io metto giù il doppio delle macchine».
E quindi fa il prezzo...
«Attenzione: qui facciamo cose dove ovviamente conta il prezzo ma conta soprattutto la qualità. Dobbiamo fare cose, prodotti, componenti avanzati, ad un prezzo competitivo ma soprattutto con margini per noi: perchè dobbiamo continuare a fare investimenti».
Il suo Gruppo è fornitore di buona parte dei grandi marchi mondiali dell'auto. Chissà cosa direbbe Marchionne sentendo questa sua idea di Italia e di competitività.
«Guardi che, al netto di un po' di polemiche, Marchionne la pensa più o meno così. La Fiat ha fatto una scelta che io credo coraggiosa: inutile presentare nuovi progetti se il mercato non "beve". Fiat si sta preparando: entro il 2014 presenterà 12 nuovi modelli e si posizionerà nella fascia medio, medio-alta. Guardi la Maserati: Marchionne vuol farne 50 mila l'anno (e un bel po' di componenti li facciamo noi)».
Ma se non hai modelli nuovi non vendi.
«Il caso di Peugeot-Citroen che nel 2012 ha perso 5 miliardi è però emblematico: se hai nuovi modelli, ma non te li comperano, rischi. E invece Fiat ha molta liquidità, grazie a Chrysler. E sta facendo importanti investimenti diretti e quindi molti fornitori, fra cui noi, a loro volta fanno investimenti qui, in Italia . Sono decisamente ottimista».
Oddio, resterebbe un particolare non trascurabile: i rapporti sindacali.
«Non parlo per Fiat, ovviamente, ma per me. Ed io la vedo così. Qui stiamo attraversando un momento complicatissimo. L'Italia e Brescia hanno bisogno di un colpo di reni, di un salto triplo in avanti, e qui serve la volontà di tutti quelli che stanno in fabbrica, gli imprenditori e i lavoratori. Se non facciamo così, e se non facciamo in fretta, qui rischiamo il deserto. Magari qualcuno resiste e cresce, ma gli altri?».
Ma andando più nel dettaglio, e magari anche solo restando a Brescia. Fare appello alla buona volontà d'accordo, ma ho l'impressione non basti. Nel concreto - ma nel concreto - lei come si muoverebbe?
«Ripeto: buona volontà e niente ideologie, da nessuna parte. Chiamerei tutti i miei colleghi e il sindacato. Alle imprese direi: carte in tavola, chi vuol continuare a fare questo mestiere dica quanti investimenti e quali progetti ha per il futuro. Al sindacato direi: se ci mettiamo insieme l'industria bresciana torna a splendere. Dobbiamo lavorare di più. E questo significa per le imprese la possibilità di sfruttare gli impianti al massimo e quindi flessibilità massima in cambio di lavoro nuovo, sicuro e pagato. Guardi che qui in OMR lavoriamo 7 giorni su 7 sui tre turni. Io posso fare grandi investimenti e continuerò a farne, ma li devo anche pagare questi investimenti, devo farle girare le macchine. Questo è quello che chiederei: da una parte un impegno nuovo ad investire e a tornare a fare gli industriali con orgoglio e determinazione, e dall'altra la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. E' così che si batte la Cina».
Sembra quasi un sintetico "manifesto" del possibile futuro presidente di Aib.
«Non mi tiri su questo terreno. Non ci si candida a fare il presidente, si è proposti dai colleghi».
D'accordo: ma se lo candidassero? Non è un mistero che il suo nome è fra i più accreditati...
«E dai! Non so, ci penserei, che le devo dire? Ma certo chiederei preliminarmente ai miei colleghi quel che le ho già detto: impegno e impegni».
Gianni Bonfadini
g.bonfadini@giornaledibrescia.it
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