Mercatone Uno, il grido di rabbia dei dipendenti: «Presi in giro»
Davanti l’ingresso le bandiere dei sindacati ammainate sembrano essere la più cruda e illustrativa metafora di ciò che è accaduto. Deserto produttivo. I carrelli infilati l’uno dentro l’altro - e già quasi arrugginiti - arricchiscono lo scenario post-apocalittico nell’area produttiva, mentre qua e là abbondano immondizia, residui di cartelloni di protesta e tappeti per accogliere i clienti. La vita è sancita soltanto dalle sterpaglie che in tre mesi sono cresciute tra l’asfalto e le vetrate e da un ragazzo che usa il parcheggio sotterraneo per pattinare tra i rifiuti come ostacoli. E questo la dice lunga su quanto stia accadendo in queste settimane a Castegnato.
Il punto vendita bresciano del Mercatone Uno è chiuso dallo scorso maggio, quando il tribunale di Milano ha dichiarato il fallimento della Shernon Holding Srl, che soltanto otto mesi prima aveva acquisito la catena italiana di ipermercati per la grande distribuzione. Da quel 23 maggio è cominciato il terremoto per 1.860 dipendenti in tutta Italia. A Castegnato i lavoratori nello stabilimento sono 18, tutti provenienti dall’hinterland bresciano, ma fino a dieci anni fa erano esattamente il doppio. Alcuni dipendenti venivano qui in bici, molti di loro non hanno mai lavorato altrove.
Quando hanno cominciato a lavorare nel punto vendita bresciano assistevano all’ascesa di un marchio che aveva forse avuto il suo apice quando sponsorizzò e diede il nome alla squadra ciclistica tra il 1997 e il 2003, che con Pantani e Garzelli vinse due Giri d’Italia e un Tour de France. Oggi guardano da lontano la loro creatura morire dopo una lunga agonia che forse nessuno ha voluto realmente fermare.
Lea Caccamo è una di loro, per 15 anni ha lavorato all’ufficio clienti dello stabilimento bresciano e ha seguito da vicino tutta la vertenza come rappresentante sindacale Filcam Cgil Brescia: «La notizia fu traumatica, arrivata in un periodo in cui nel nostro stabilimento mancava persino il direttore. Leggemmo un messaggio su Facebook alle 23.30 e subito si diffuse il panico tra tutti i dipendenti. La notte stessa ci comunicarono che il giorno dopo i negozi sarebbero rimasti chiusi». Lea ricorda quella fatidica notte tra il 23 e il 24 maggio del 2019 ma pensa soprattutto al futuro e alle prospettive in vista. In realtà poche, se non nulle. «Viviamo tristezza e delusione - sottolinea lei -, unite a scoramento, rabbia e disillusione.
È vero che oggi siamo nuovamente entrati in amministrazione straordinaria, ma noi lavoratori siamo stati presi in giro, oltre che danneggiati perché riceviamo la cassa integrazione sulla base dei nuovi contratti part-time firmati dopo la cessione pur di mantenere il posto di lavoro. Ne consegue che percepiamo cifre ridicole, alcuni di noi anche 400 euro, insufficienti anche soltanto per vivacchiare».
A fare il punto sul clima in cui è calata la vertenza è Susanna Belotti, segretaria della Filcam Cigl Brescia: «Siamo a un punto fermo. Le uniche certezze sono la cassa integrazione per i dipendenti fino alla fine dell’anno e il bando di vendita in scadenza il prossimo 31 ottobre». Ma di marchi che si siano fatti avanti neppure l’ombra. «Trovare un acquirente entro il 31 ottobre mi sembra una favola - chiosa Lea Caccamo -. Ci crediamo davvero poco, molti di noi a settembre cercheranno altro, anche se abbiamo un’età media di 46-48 anni e per il mondo del lavoro siamo già vecchi». Già, il futuro. Belotti ci informa dell’apertura di un tavolo con il centro per l’impiego di Brescia per avviare corsi di formazione «a cui potranno partecipare i nostri lavoratori per garantire nuove ricollocazioni anche in altri settori», ma sembra il finale di un copione già scritto troppe volte che mai nessuno vorrebbe leggere.
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