Marmo bresciano, l'India frontiera e cruccio

L'India è la nuova frontiera del marmo bresciano e, nel contempo, è anche il suo cruccio. È l'India, infatti, che sta salvando i fatturati di un comparto che, tra occupati diretti e dell'indotto, dà lavoro a circa 2.500 persone.
Il marmo cavato nelle montagne di Botticino, Rezzato, Nuvolera, Nuvolento, Gavardo, Paitone (Botticino classico e semiclassico, Breccia aurora e oniciata) prende le vie del mondo, perché il mercato italiano è completamente fermo e lo rimarrà, nelle previsioni, ancora per molto. Laura Alberti, presidente del Consorzio Marmisti Bresciani, che riunisce cavatori e trasformatori, parla di una crisi del settore che ha visto nel 2010 i fatturati scendere in un range che va dal 20 al 30 per cento, anche con punte del 40 per cento, ma le cifre non danno l'esatta situazione del settore. Ad essere colpite sono state, in particolare, le aziende produttrici di semilavorati e di prodotti standard, in parte per il fermo del mercato italiano e, in parte, per la concorrenza straniera sui mercati internazionali.
Le aziende che offrono al mercato prodotti finiti di alto livello non solo si sono salvate, ma hanno bilanci in crescita. Bilanci in crescita anche per chi produce e vende blocchi, ma qui ha sede il cruccio dei marmisti bresciani. I buyers esteri, con in testa gli indiani, vogliono blocchi da trasformare nel loro Paese, con il risultato che sul mercato si trovano prodotti fatti con il materiale bresciano autentico, ma a prezzi inferiori a quelli che le nostre imprese possono proporre. Fabio Bonardi, presidente della Cooperativa Valverde, è molto chiaro in proposito: «Chi vende blocchi rovina il mercato. Noi abbiamo un materiale non ripetibile, conosciuto da architetti e designer in tutto il mondo, e una tradizione di lavorazione storica ed eccellente. Dobbiamo vendere il prodotto finito».
Quanto dice Bonardi è avvalorato dai bilanci dei produttori bresciani presenti alla veronese Marmomacc, la più importante fiera italiana del settore.
In crescita, per fare alcuni esempi, Marmolux, la Cooperativa operai cavatori del Botticino, la Cooperativa Valverde, la Silmar, la Zafra, la Ghirardi. Silvia Botti, direttrice del Consorzio Marmisti Bresciani, è ottimista. «Stiamo lavorando bene, con grande cura per la rete d'imprese. Il lavoro fatto con il concorso internazionale Marmodesign ci colloca nel mondo delle eccellenze. Lavoriamo in sinergia con tutti gli attori del settore, perché questo è il momento per fare rete. I risultati si vedono. La crisi c'è, ma le imprese bresciane hanno saputo reagire, grazie anche al lavoro fatto in comune».
E il lavoro in comune si vede nella presenza a Marmomacc del Consorzio produttori marmo classico di Botticino, nato per difendere la denominazione d'origine controllata e del Consorzio cavatori marmo del bacino della valle di Nuvolera, dove si estraggono in gran parte le brecce Aurora e Oniciata, in una settantina di cave ormai storiche, il 30 per cento delle quali ferme.
Andrea Massolini, che del consorzio è il presidente, mette in evidenza un problema che non è solo dei cavatori: i residuati di cava. Dall'estrazione dei blocchi rimangono pietrischi di risulta, che in un anno possono arrivare anche a due milioni di tonnellate. Potrebbero essere utilizzati per il cemento, ma sono fuori mercato a causa degli affitti che i cavatori pagano ai Comuni interessati. Con un intervento appropriato da parte della Regione o dello Stato, si potrebbero abbattere i costi di affitto del 50%, con il risultato di rendere appetibile il pietrisco per le aziende cementifere e di liberare le cave, a tutto vantaggio del territorio. Il comparto, dunque, c'è; è vivo, lavora. Ora si tratta di arrivare a mettere in campo le risorse necessarie a rilanciarlo.
Silvano Danesi
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