Economia

Madame Penelope e i 7 negozi. «Continuo a sentirmi precaria»

Sul mercato ci sono spazi da conquistare. Ma bisogna viaggiare per capire come cambia il mondo «facendo sempre andare le mani»
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Non ha un profilo attivo su Facebook e tantomeno un video che la riprende su You Tube. Eppure dimostra di saper dettare uno stile, di fare tendenza. Soprattutto tra i giovani. Anziché navigare in internet, preferisce girovagare per il mondo. «Anche perché - ammette - quando sono seduta in aereo, riesco a trovare il tempo per pensare».

Roberta Valentini, la Penelope della moda, viaggia per un terzo dell'anno. E per il resto? «Faccio andare le mani», racconta con orgoglio tutto bresciano auto-escludendosi da quel gruppo di personaggi tanto eccentrici, quanto temuti, che affollano il mondo del fashion. Gente come la Miranda (Meryl Streep) del film «Il diavolo veste Prada» o più realisticamente come la Anna Wintour di Vouge. Roba da film, dice lei, anche se dentro quel mondo, madame Penelope ci sembra tagliata fino in fondo. Sembra, per l'appunto.
Vestito nero, gran massa di capelli rossi raccolti, scarpe con suola a «mezza luna», un calzino sul sinistro e piede destro nudo. Plateale, ma naturale. Roberta Valentini è carica di energia da vendere e convinta a non fermarsi.
La troviamo in negozio. Sta sistemando un cappotto sul manichino. «Segnatevi il nome di questo stilista - suggerisce prima di schierarsi dietro il bancone per l'intervista -: si chiama Reed Krakoff e farà molta strada».
Cos'è che la rende così sicura del suo successo?
«L'eleganza e le linee morbide di uno stile innato. Finalmente qualcosa di nuovo nel panorama della moda, qualcosa che vive il quotidiano e che non si rifà al passato. Qualcosa che riflette una voglia di cambiamento. A Brescia sono stata la prima a proporlo».
Pare addirittura che esprima un suo stato d'animo?
«Vero, oggi sento che qualcosa sta cambiando. A dir la verità è dall'11 settembre 2001 che ho la percezione che niente sarà più come prima».
Detto così, si fa però fatica a distinguere se la sua sia una percezione di speranza o un sentimento d'ansia?
«In un periodo di cambiamento come quello attuale si presentano, contemporaneamente, momenti di difficoltà da superare e opportunità da saper cogliere».
Partiamo da queste ultime...
«Le faccio un esempio. Nel 1969 ho aperto il mio primo negozio in Contrada del Cavalletto con l'intento e l'esigenza di rompere le righe. Volevo che la donna troncasse con la moda di allora e si convertisse a linee meno rigide. Sentivo quest'esigenza e ho fatto la mia rivoluzione».
I fatti le hanno dato ragione. Un'intera città ha addirittura cominciato a condividere questa sensibilità.
«È stato un successo perché Brescia è una città piccola, ma con la mente larga. Non poteva andare diversamente. Quando sono in giro mi rallegro a vedere i bresciani che hanno fatto fortuna nel mondo. Tutti imprenditori molto svegli e che sanno far nascere un sacco di voglie. Questo dimostra che non è importante dove nasci, ma come lavori».
Lei compare costantemente sui più importanti settimanali di moda, nazionali e internazionali. Perché non ha mai tentato la fortuna oltre il confine provinciale?
«Io sono qui, ma mi sento nel mondo. Sono esterofila di testa. Anni fa ho aperto insieme ad altri soci un negozio a Verona. Si chiamava Concept, ma evidentemente non era strutturato nel modo migliore e mi prendo tutte le responsabilità se siamo stati costretti a chiudere. Oggi, quando sento qualcuno pronunciare termini come “visual” e “concept” mi spavento».
Non sarà andata bene in quel di Verona, ma a Brescia è riuscita ad aprire altri sei negozi nel giro di pochi anni. Non è poi andata così male?
«Sono sicura degli errori che ho fatto e riconosco il mio limite, la mia pochezza è star qui a fare la vetrina anziché essere a una mostra d'arte o per le strade di New York a captare i bisogni dei giovani».
Lei pensa che anche le nuove generazioni percepiscano questo bisogno di futuro?
«Confido in un loro sussulto di passione. Io faccio sempre andare le mani, 24 ore su 24. Ogni sera vado a letto stanca, ma quando mi sveglio mi sento nuova. Oggi, invece, vedo ragazzi che...
Continui, continui...
«Ragazzi che non hanno desideri e non sentono il bisogno di cambiamento. Giovani che non percepiscono le novità che arrivano dal Nord Europa, come ad esempio la prepotente evoluzione del mercato low cost».
Gente che non sa da dove iniziare e spesso lasciata troppo sola?
«Giorni fa, un amico mi raccontava sconsolato che il figlio ha smesso di andare all'università perché vuol fare l'agricoltore. Ebbene, questo mio amico dovrebbe essere l'uomo più felice del mondo perché suo figlio ha fatto la scelta migliore: si è dato da fare e non è rimasto con le mani in mano. Pensi che a mio nipote ho consigliato di andare a fare il falegname».
E lui? Ha seguito il suo consiglio?
«Non sono ancora riuscita a convincerlo. Prima deve cominciare a gustarsi il mondo».
Lei ha già assaporato questa sensazione?
«Eccome: non riesco a farne a meno. Credo che questo sia anche il motivo per cui ho un'attrazione singolare per New York e in particolare modo per Manhattan, una città moderna e democratica».
E che vuol dire?
«Una città creativa, sensibile e con un'etica. Nella Grande Mela ho pure avuto la fortuna di trovare un'assistente “moderna e democratica” come il presidente Barack Obama. Una ventenne nata a Chicago, di origini keniote e che ora si è completamente integrata nella realtà bresciana. Pensi che a volte l'ho anche sentita parlare nel nostro dialetto».
Il gruppo Penelope conta sette punti vendita. Visto tutto il suo entusiasmo ci possiamo aspettare una nuova apertura?
«Sul mercato c'è ancora spazio, anche perché lo spazio si forma quando ci sono buone idee. Sento che la mia storia non è ancora giunta al termine: mi sento ancora precaria e ho ancora voglia di perfezionarmi. Ora però mi dovete scusare, devo andare a casa a preparare le valige. Parto per l'America. Ho un appuntamento con l'arte contemporanea».
Erminio Bissolotti
e.bissolotti@giornaledibrescia.it

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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