L'indagine: chi lavora da casa non fa davvero smart working
Nel mese di marzo l’agenzia Smart Break, un progetto della psicologa bresciana Monica Bormetti e del consulente digital Matteo Bormetti, ha lanciato un’indagine di monitoraggio sul lavoro da remoto forzato tra gli italiani nel periodo di emergenza legato al coronavirus. I primi dati raccolti attraverso le interviste a un campione di 300 persone danno un'anticipazione del risultato a cui l’indagine potrebbe portare, con l’obiettivo di fare una fotografia di ciò che sta accadendo rispetto al lavoro agile.
Chi lavora da casa oggi sperimenta il lavoro da remoto forzato e non lo smart working. Infatti lo smart working è una modalità di lavoro introdotta attraverso un accordo tra azienda e lavoratore, in alternanza al lavoro d’ufficio. Oggi il contesto è molto diverso perché le persone si trovano ad essere obbligate a lavorare in casa tutti i giorni.Alcuni numeri tra i più rilevanti:
- Il 65% dichiara che l’azienda potrebbe fornire maggior formazione o coaching sull’ottimizzazione della produttività nel lavoro da casa;
- Il 35% dichiara che l’azienda potrebbe fornire sostegno psicologico in una situazione stressante come la presente;
- Il 65% dichiara che l’azienda non ha fornito linee guida nella gestione delle comunicazioni tra colleghi
- Il 25% dichiara di essere in difficoltà rispetto a questo punto.
Dato quanto emerso dall’indagine Smart Break ha deciso di costruire e divulgare una collana di risorse gratuite proprio a sostegno di chi oggi lavora da casa. Il primo dei manuali creati si riferisce alla gestione delle conference call. Questa scelta emerge dal dato dell’indagine sopra citata per cui solo il 15% delle aziende ha fornito alle persone delle linee guida nella gestione delle riunioni online.
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