Economia

Lana derivata dal latte da Brescia alla Germania

La stilista Anke Domaske ha migliorato il brevetto del gavardese Antonio Ferretti La lana artificiale derivata dal latte torna di moda.
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Il Lanital, lana artificiale derivata dalla caseina, è una creatura del chimico e imprenditore gavardese Antonio Ferretti. Ferretti era arrivato al Lanital nel 1935, dopo tre anni di studi condotti di notte nella cantina della sua abitazione. La caseina, ricavata dal latte magro di mucca, veniva depurata, essiccata e trattata con un agente alcalino che la trasformava in una massa vischiosa: la caseina tessile. La soluzione era fatta passare attraverso filiere a fori minutissimi; le sottili bave subivano un bagno coagulante e successivi processi di insolubilizzazione, lavatura e, ancora, di essiccazione. A quel punto, i fiocchi risultanti erano pronti per la filatura e la tessitura.

Il Lanital ebbe un enorme successo. Il brevetto fu acquistato dalla Snia Viscosa, che offrì subito a Ferretti incarichi dirigenziali di rilievo. Nella stagione dell’autarchia che l’Italia stava vivendo, la fibra fu eletta a ideale alternativa alla lana naturale. La produzione crebbe vertiginosamente, fino a toccare, nel 1940, quota 14mila tonnellate. E ben presto il Lanital si diffuse in ogni parte del mondo, dalla Francia alla Gran Bretagna, dalla Germania al Canada, dal Giappone agli Stati Uniti. Nel dopoguerra, l’invenzione del gavardese continuerà a essere prodotta - con il nome di Merinova - fino al 1968, quando andrà in pensione, soppiantata dal prepotente emergere delle fibre sintetiche.

Un pensionamento che si è rivelato però solo provvisorio. A richiamare il Lanital in servizio ci ha pensato Anke Domaske, stilista e microbiologa tedesca, che qualche tempo fa ha ripreso in mano l’idea di Antonio Ferretti e, aggiornandola alla luce delle moderne tecnologie, ha depositato un nuovo brevetto. La fibra - che è stata battezzata Qmilk - presenta caratteristiche marcatamente ecologiche, in quanto prevede il reimpiego di latte di scarto, mentre il ciclo produttivo contempla un ridotto consumo di acqua e un basso livello di sostanze chimiche nocive. Di recente, la «fibra di latte» ha cominciato a essere utilizzata anche in Italia, in particolare da laboratori artigianali e da atelier di moda.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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