Economia

L’allevamento di tinche che produce insalata ed energia a impatto zero

È il progetto sperimentale avviato dal ristorante al Porto di Clusane con un’azienda mantovana
L'acquaponica: l'acqua dei pesci nutre le colture di insalata - © www.giornaledibrescia.it
L'acquaponica: l'acqua dei pesci nutre le colture di insalata - © www.giornaledibrescia.it
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Allevare tinche di qualità con un impianto a impatto zero che consente di coltivare in simbiosi ortaggi e persino generare elettricità. Fantascienza? Niente affatto. Si tratta di un progetto sperimentale avviato dal ristorante Al Porto di Clusane in collaborazione con un’azienda mantovana di Vilimpenta, la Nutritech srl e azienda Agricola Biotica.

Il titolare della trattoria bresciana Mattia Marini doveva risolvere un problema, ovvero la carenza del pesce che costituisce il piatto tipico di Clusane, la tinca al forno. Presente ormai in quantità modeste nel Sebino, le tinche vengono in buona parte importante pescate sul lago Transimeno, ma la carne di questi pesci è purtroppo poco abbondante. «Ho contattato Simone Venturini della Nutritech - spiega il titolare del Porto - per risolvere il problema e lui ha realizzato un progetto sperimentale che ci sta dando soddisfazione, nonostante, non lo nego, le mie perplessità iniziali».

La vasca con le tinche - © www.giornaledibrescia.it
La vasca con le tinche - © www.giornaledibrescia.it

Il progetto prevede la creazione di un modello di azienda agricola a impatto ambientale zero con produzione di animali e piante che vivono in simbiosi tra loro. La tecnologia sulla quale si basa il progetto è «l’acquaponica» termine che costituisce una crasi fra acquacoltura e idroponica.

L’acquaponica

I sistemi acquaponici sfruttano il cosiddetto «ciclo chiuso». L’acqua utilizzata per l’allevamento dei pesci viene impiegata per la coltivazione delle piante, creando così un interscambio continuo tra le parte animale e quella vegetale. In sostanza l’acqua dei pesci contenente sostanza organica (deiezioni animali) viene pompata nei letti di crescita. Qui i batteri presenti, interagendo con la sostanza organica, producono sostanze nutrienti per le piante, che a loro volta, filtrano l’acqua restituendola purificata ai pesci e permettendo così l’inizio di un nuovo ciclo.

Per rendere profittevole un allevamento di tinche bisognava risolvere un altro problema: mediamente per avere una tinca da cucinare servono in media tre anni. Invece con questo tipo di allevamenti, i tempi di sono più che dimezzati. Ma è stato necessario ricorrere alla psicologia «animale».

Pesci istruttori

«Si è scoperto - spiega Marini - che la tinca è un pesce particolarmente timido diffidente di fronte ai mangimi. Così Venturini ha avuto la brillante idea di aggiungere alla vasca delle tinche dei pesci di razze cugine della tinca come «istruttori» che hanno insegnato alle tinche a mangiare». Anche il mangime è frutto di studi ed è a impatto zero. Si utilizzano infatti sottoprodotti di scarto dell’industria alimentare (ritagli di pizza o focacce ad esempio) addizionati di farine contenenti quello che la tinca mangerebbe in natura per garantire una carne migliore.

Idrogeno dalle branchie

Per rendere il sistema efficiente ed energeticamente autonomo è stata sviluppata una tecnologia per utilizzare l’ammoniaca prodotta dalla respirazione dei pesci per produrre, tramite cracking catalitico, idrogeno ed energia elettrica. Esiste un prototipo già funzionante di questa tecnologia, installato in provincia di Mantova, che sfrutta come prodotto di partenza il liquame dei maiali, con una efficienza energetica altamente superiore rispetto a quella dei pesci. Il prototipo di quella coltura ad acquaponica in scala ridotta, invece fa bella mostra di sé all’interno del ristorante di Clusane. Per mostrare ai clienti come si può realizzare un allevamento sostenibile. 

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