«La transizione non può essere fatta solo in Europa»
Il sentimento popolare sulla transizione elettrica dell'automotive è positivo, ma la posizione dell'industria e in molti casi anche dei sindacati è invece piena di dubbi. Molti imprenditori stanno investendo nell’elettrico, ma non potrebbero fare a meno di chiedersi se si stia facendo la cosa giusta.
Qualche dubbio è emerso anche ieri nel convegno «Le sfide della mobilità tra transizione ambientale e tecnologica, e sostenibilità delle aziende e dei territori», organizzato nella sede di Isfor da Ucid, dal Cluster lombardo della mobilità e da Federmanager.
A chiedersi per primo se la strada verso l’elettrico sia la più appropriata per la società italiana ed europea è stato il presidente del Cluster, Saverio Gaboardi: «La tutela del sistema industriale - ha detto -, senza stravolgimenti, e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica non sono incompatibili».
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Quello che sarebbe insostenibile per il settore e l’occupazione di 163.000 addetti sarebbero invece «gli obiettivi di riduzione del 55% della produzione di motori endotermici entro il 2030 e del 100% entro il 2035».
Perchè? «Almeno due terzi degli addetti cambierebbero tipo di lavoro e sarebbero da riqualificare, per un costo di 5 miliardi di euro, che al momento non ci sono». La soluzione? Per Paolo Streparava sarebbe migliorare la qualità delle produzioni in corso, che i passi da gigante della tecnologia rendono fattibile con gli strumenti e le dotazioni già disponibili, solo da adeguare progressivamente.
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Streparava ha ricordato per esempio «i passi da gigante fatti dalle alimentazioni diesel, visto che dagli euro 2 agli euro 6 il consumo in litri per gli stessi chilometri si è dimezzato. Stiamo già investendo nell’elettrico per capire come trattarlo - ha sottolineato -, ma nelle valutazioni complessive crediamo sia giusto non nascondere che ci saranno milioni di batterie da smaltire a fine vita e che l’energia elettrica prodotta con fonti fossili è comunque inquinante. Infine, la transizione non può essere fatta solo in Europa, altrimenti sarà una scelta clamorosamente autolesionista che ci farà perdere l’industria principe e tanto benessere».
Per il rettore dell’Università di Brescia, Maurizio Tira, «l’obiettivo deve essere lo sviluppo sostenibile di tutta la mobilità e non solo dell'automotive», mentre la direttrice di Isfor Cinzia Pollio ha ricordato «l’importanza determinante della formazione degli operatori in un industria che sta dismettendo il lavoro fisico e cerca sempre di più quello cognitivo».
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