«La manifattura di Brescia e Bergamo è ora più forte e patrimonializzata»
È la punta di diamante di quella straordinaria piattaforma produttiva europea che affonda le radici nei territori di Brescia e Bergamo. Stiamo parlando dei 200 gruppi manifatturieri (che hanno redatto un bilancio consolidato) presi in esame dallo studio realizzato da Confindustria Brescia e Confindustria Bergamo.
L’indagine, presentata ieri alla cantina Bersi Serlini, ha riguardato 1761 aziende (847 produttive, 597 commerciali) di 11 diversi settori, con un fatturato totale di 49,3 miliardi e 134mila addetti. Filiere e realtà tra le più performanti d’Europa, caratterizzate da un’elevata proiezione internazionale e una robusta struttura patrimoniale che ha fatto da scudo all’attuale stagione dei rialzi dei tassi d’interesse a seguito della stretta monetaria.
I numeri
Lo studio congiunto - presentato da Davide Fedreghini e Massimo Longhi - rientra a pieno titolo tra le attività di collaborazione avviate dalle due territoriali in occasione di «Brescia e Bergamo Capitale». «Nel 2022 i ricavi dei 200 gruppi sono cresciuti del 19,2% per l’incremento dei quantitativi venduti, ma anche per i rincari dei prezzi in risposta degli extra costi di materie prime e energia - spiega Fedreghini -. I costi esterni sono aumentati del 21,6%, più dei ricavi; a crescere è in particolare la voce dei servizi +28,8%, al cui interno ricade l’energia».
Balzo degli utili
Cresce la redditività + 23,1% ad un tasso superiore a quello dei ricavi: «La sua incidenza sul fatturato è passata dal 13,9% del 2021 al 14,4% del 2022 anche perché il costo del lavoro è cresciuto solo dell’8% - spiega Fedreghini -. Va però segnalato che, se si esclude il settore siderurgico caratterizzato per dinamiche particolarmente brillanti, la crescita del Mol si ferma al 13,6%, incremento significativamente più basso di quanto realizzato dai ricavi. L’utile è cresciuto Mediamente del 35%, ma tolta la siderurgia la crescita sarebbe del 18,5%».
In questi anni i gruppi bresciani hanno messo fieno in cascina, hanno saputo gestire l’impresa in modo oculato, si sono patrimonializzati: «I mezzi propri coprono mediamente il 51,8% del totale delle attività. Mentre gli investimenti sono cresciuti del 25,4%, un ritmo più intenso di quello dei ricavi e del valore aggiunto, anche se le incertezze geopolitiche hanno frenato la propensione a investire».
Il futuro
Come sta andando questo 2023 e soprattutto cosa attende le imprese nel 2024? «Il business sentiment è positivo - dichiara Massimo Longhi -. Tre gruppi su quattro si attendono un 2024 di crescita. La survey evidenzia come nel 2023 il fatturato complessivo è atteso in calo del 5%; il valore aggiunto registrerebbe una dinamica analoga, mentre il Mol diminuirebbe dell’11% per via del rallentamento della domanda globale e la contrazione dei prezzi delle materie prime. Ma se estrapoliamo i gruppi della sidermetallurgia, i numeri del 2023 lievitano». Quale impatto della stretta creditizia? «Per l’84% dei gruppi l’accesso al credito non è un problema. Anche se 1 gruppo su 4 prevede di ridimensionare gli investimenti».
Quale strada intraprendere? Ad indicarla è il presidente Franco Gussalli Beretta: «Dobbiamo investire nella digitalizzazione. Nel 2022 questi investimenti sono cresciuti del 25%, oltre l’indice dei ricavi e questo è confortante - ha spiegato -. L’intelligenza artificiale sarà il vero fattore di cambiamento, ci permetterà di fare un grande salto». «Poi c’è la sostenibilità, con l’autogenerazione di energia da fonti rinnovabili e l’efficientamento energetico». Per la presidente Giovanna Ricuperati: «Su questo fronte è necessario creare le condizioni perché i grandi gruppi possano trainare anche le piccole imprese».
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