Economia

La lettera di una laureata: «I giovani costretti a sopravvivere ai colloqui di lavoro»

Riportiamo la testimonianza che la 33enne bresciana Caterina Tavelli ha inviato al Gdb
Caterina Tavelli ha avuto a che fare con tante agenzie del lavoro - © www.giornaledibrescia.it
Caterina Tavelli ha avuto a che fare con tante agenzie del lavoro - © www.giornaledibrescia.it
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Scrivo per portare la mia testimonianza, felice di poterlo finalmente fare in uno spazio legato al nostro territorio. Purtroppo pochi hanno il coraggio e le energie di affrontare il discorso sulla retribuzione e dunque nello specifico a quanto corrisponda il proprio netto mensile, specialmente in sede di colloquio. Qui la priorità del candidato è sopravvivere alle domande del recruiter, che sembra doverti in ogni modo mettere in difficoltà e testare la tua pazienza.

Negli anni mi son state poste domande del tutto illegali come: «Vuole avere figli?», «È fidanzata o sposata» e io mi son sempre indispettita perché esiste l’articolo 27 del Codice delle Pari opportunità. Torniamo a me, Caterina Tavelli, brescina, ho 33 anni e ho conseguito un titolo in Business administration all’Università di Zurigo, dopodiché ho deciso di lavorare per una grande banca. Nel 2015 però scelsi di lasciare la Svizzera a di tornare a casa. Da allora l’esperienza col lavoro subordinato è una continua delusione.

Partiamo dai colloqui, con situazioni sempre più o meno simili: chi mi selezionava non aveva alcuna preparazione in diritto del lavoro; i recruiter spesso non conoscono le tabelle retributive dei vari Ccnl; le aziende vogliono massimizzare i guadagni pagando il meno possibile; grandi e strutturate aziende propongono offerte ridicole per figure da junior manager. Comprendo che il costo del lavoro sia un argomento delicato e non ho un’adeguata preparazione per esprimere un parere al riguardo.

Posso solo portare testimonianza della mia pessima esperienza con innumerevoli agenzie del lavoro e aziende. Si parla tanto di pari opportunità e quote rosa ma Brescia è ancorata al passato. C’è poco desiderio di evoluzione ma la vera digital transformation potrà avvenire grazie a manager qualificati e imprenditori privi di pregiudizi.

Torniamo però all’inizio del racconto. Solo alla fine del procedimento di selezione, cioè quando riesci a convincere che tu sia completamente disinteressata all’altro sesso per progetti a lungo termine e solo dopo esser sopravvissuta a 150 candidati (questa è la media per ogni posizione vacante), riesci a scoprire quale sarà il tuo inquadramento dalla lettera di assunzione, che firmerai senza indugi perché hai bisogno di lavorare.

Bene, che continuino ad insinuare che noi giovani non abbiamo voglia di fare sacrifici. In realtà cerchiamo in tutti i modi di crearci un futuro, studiamo anche troppo, lavoriamo senza compensi, speriamo di diventare grandi. Ma a 33 anni siamo ancora figure junior e dobbiamo accontentarci di quello che offrono i vari «conventi», le aziende. Fuggire all’estero però non è la soluzione.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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