Kme chiude a Brescia: Fiom fa ricorso per condotta antisindacale
Ricorso per condotta antisindacale con annessa richiesta di risarcimento danni. Ad alzare il velo sulla definitiva chiusura dello stabilimento di Brescia della Kme (laminazione rame) con relativa procedura di licenziamento collettivo è la Fiom-Cgil che lo scorso 6 dicembre si è rivolta al Tribunale di competenza di Firenze (dove Kme Italy spa ha sede amministrativa) chiedendo di accertare se il comportamento dell’azienda non abbia leso le «prerogative del sindacato a tutela generale dei diritti dei lavoratori», «il diritto all’informazione, riconosciuto dalla legge e dal Ccnl», nonché abbia «leso l’immagine del sindacato agli occhi dei propri iscritti», quando l’azienda «artatamente ne arginava l’azione concludendo accordi individuali».
Il gruppo tedesco
Kme Italy, società controllata al 100% dal colosso tedesco Kme Se, è un produttore e distributore mondiale di prodotti in rame e leghe di rame. Il gruppo possiede altri quattro stabilimenti in Italia: a Fornaci di Barga, Lucca, dove lavorano 532 dipendenti; a Firenze, dove si trova la sede amministrativa; la Sct Serravalle Scrivia (235 dipendenti); ed il sito di Mortara, in provincia di Pavia che occupa 20 dipendenti.
Lo stabilimento di Brescia venne rilevato nel giugno del 2021 da Eredi Gnutti Metalli che cedette alla newco Ilnor spa (gruppo Kme), il ramo d’azienda della laminazione con i suoi 71 dipendenti, in cambio di un pacchetto di minoranza del 16% di Kme Italy, poi ceduto nel luglio del 2023.
La vertenza
Sotto la direzione Kme la produzione dello stabilimento bresciano viene rimodulata: «Vennero dismessi i laminatoi e mantenute attive solo le cesoie e le bobinatrici – spiega Antonio Ghirardi, segretario della Fiom Brescia –. L’azienda venne svuotata, restarono solo le fasi terminali di taglio e di bobinatura».
L’azienda dichiara 35 esuberi e viene avviato il contratto di solidarietà. «La società aveva bisogno di ridurre l’organico e si rende disponibile a incentivare l’esodo di 12 lavoratori con l’erogazione di una somma di 50mila euro».
La politica di incentivazione all’esodo prosegue anche nel 2022 e nel 2023 e l’organico si riduce a 28 unità. «Negli incontri di marzo ed aprile la direzione aziendale ci comunica che nonostante i bassi volumi produttivi, non intende usufruire degli ammortizzatori sociali, ma di gestire al meglio le commesse utilizzando i permessi retribuiti collettivi previsti dal contratto - spiega Ghirardi -. E nonostante le nostre richieste di chiarimenti, non fa mai riferimento alla possibilità di chiudere lo stabilimento».
La chiusura
La decisione della chiusura definitiva dello stabilimento arriva lo scorso giugno come un fulmine a ciel sereno. «Ci hanno comunicato lo smantellamento degli impianti entro il 31 dicembre e l’accordo ministeriale per la Cassa integrazione straordinaria per cessata attività – prosegue Ghirardi –. Un percorso non condiviso col sindacato che propone invece la solidarietà».
Ad agosto l’azienda incentiva la risoluzione del rapporto di lavoro di 18 lavoratori. Ad ottobre comunica il trasferimento a Fornaci di Barga (a 300 chilometri di distanza) degli ultimi 9 lavoratori rimasti, che a novembre sottoscrivono gli accordi di conciliazione. «Quello dell’azienda è un comportamento che denota disinteresse delle prerogative del sindacato – conclude Ghirardi –. A ciò si aggiunge una palese lesione dell’immagine del sindacato che agli occhi dei propri iscritti perde credibilità per il semplice fatto di essersi attenuto alle regole per tutelare al meglio i lavoratori». Anche per queste ragioni il sindacato ha presentato al Tribunale di Firenze un ricorso per condotta antisindacale. L’udienza è fissata per il 19 giugno 2025.
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