L’Italia torna a 24 milioni di posti di lavoro come nel 2019
Ci sono voluti quasi cinque anni per superare quella che sembrava ormai una barriera insormontabile, la linea Maginot del mercato del lavoro. Per tornare al gennaio 2019 e mettersi alle spalle la scure di un virus che è entrato non solo nei corpi ma anche nella società. Ma nel luglio del 2024 i dati sull’occupazione italiana raccontano che l’Italia è riuscita a superare la resistenza dei 24 milioni di posti di lavoro.
Il picco precedente risaliva proprio al primo mese del 2019, quando gli occupati erano 23 milioni 240mila. Rispetto ad allora c’è stato un aumento di 769mila lavoratori, ma il dato più alto dall’inizio delle rilevazioni Istat non racconta uno scenario realistico se non vengono considerati dettagli e variabili rispetto al periodo pre-Covid.
Perché anche se l’occupazione italiana sale sì al 62,3% resta bassissima nel confronto internazionale (l’Italia è ultima nell’Unione Europea). Non solo: anche se la quantità di lavoro è cresciuta, appare evidente la diminuzione della qualità. Lo testimonia il fatto che non si assiste a quello che dovrebbe essere un conseguente aumento della produzione di ricchezza. Si tratta di un paradosso comune all’Italia negli ultimi anni: ai valori dello scorso anno, ad esempio, ciascun lavoratore dipendente e autonomo in media produceva ricchezza per 88.490 euro. In Germania, si arrivava a quasi 91.000 euro. Inoltre, rispetto al 1980, quando l’occupazione italiana si aggirava in area 20 milioni, la crescita reale media della produttività sarebbe stata dell’1,3% all’anno. Una percentuale bassa, che chiarisce la scarsa dinamica salariale negli ultimi decenni e alla quale si aggiunge un tasso di disoccupazione al 6,5%.
Gli stipendi, al netto dell’inflazione, non solo non sono aumentati da inizio anni Novanta, ma nel 2020 risultavano scesi del 2,9%. E bisogna considerare che da allora si è assistito ad una forte accelerazione nel tasso di perdita di potere di acquisto a causa dell’alta inflazione post-Covid. La sintesi di questo scenario pare un assioma drammatico: i posti di lavoro aumentano perché gli stipendi in termini reali si abbassano e alle imprese conviene di più assumere che non investire capitali nell’innovazione. I numeri sono allora spesso uno specchietto per le allodole. O, se si vuole, una vittoria di Pirro per tutto il sistema Italia.
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