In Italia negli ultimi 15 anni è crollata l'industria manifatturiera ma Brescia ha retto l'urto
Negli ultimi 15 anni l’industria italiana ha fatto registrare numeri pessimi, con il valore aggiunto reale dell'attività manifatturiera italiana è sceso dell'8,4%, contro il -4,4% della Francia e addirittura il +16,4% della Germania. Brescia però ha retto l’urto, confermandosi tra le prime province industriali del Paese.
A dirlo sono i dati fornita dalla Cgia di Mestre notando che «tra i principali Paesi europei, solo la Spagna, con il -8,9%, ha registrato un risultato peggiore del nostro». Gli esperti spiegano quindi che, allargando «il periodo di osservazione partendo dalla crisi finanziaria dei mutui subprime, non abbiamo ancora recuperato il terreno perduto», mentre «tra il 2019, anno che precede lo scoppio della più grande crisi economica/sanitaria avvenuta a partire dal secondo dopoguerra, e il 2022, il settore manifatturiero italiano ha realizzato un rimbalzo superiore a quello registrato nel resto degli altri principali paesi Ue».
Le aree d'Italia
Scendendo nel dettaglio dal punto di vista geografico, dal 2007 al 2022 il valore aggiunto reale dell’industria del Sud è crollato del 27%, quello del Centro del 14,2% e quello del Nordovest è sceso dell’8,4%. Solo il Nordest ha registrato un risultato positivo con un +5,9%.
Secondo l'ufficio studi della Cgia, quindi, è «verosimile ritenere che le crisi 2008-2009 e 2012-2013 abbiano sicuramente ridotto e fiaccato la platea delle imprese manifatturiere presenti in Italia, ma abbiano rafforzato la tenuta e le performance di quelle rimaste sul mercato che, rispetto alle concorrenti straniere, hanno superato con maggiore slancio gli effetti negativi provocati dalla crisi pandemica del 2020-2021».
I settori
Quanto all'andamento dei diversi settori, il comparto che ha subito la contrazione più pesante del valore aggiunto è stato il coke e la raffinazione del petrolio (-38,3%). Seguono il legno e la carta (-25,1%), la chimica (-23,5%), le apparecchiature elettriche (-23,2%), l’energia elettrica/gas (-22,1%), i mobili (-15,5%) e la metallurgia (-12,5%). In controtendenza, invece, i macchinari (+4,6%), gli alimentari e bevande (+18,2%) e i prodotti farmaceutici (+34,4%). La maglia rosa va però al settore estrattivo che, «sebbene possegga un valore aggiunto in termini assoluti relativamente contenuto», in 15 anni ha registrato un incremento del 125%.
Tornando all'analisi geografica, a livello provinciale Milano (con 28,2 miliardi di valore aggiunto nominale nel 2021) «rimane l’area più “manifatturiera” del Paese». Seguono Torino (15,6 miliardi), Brescia (13,5), Roma (12,1) e Bergamo (11,9). La provincia che tra il 2007 e il 2021 ha registrato la crescita del valore aggiunto industriale nominale più elevata è stata Trieste (+102,2%). Subito dopo Bolzano (+55,1%), Parma (+54,7%), Forlì-Cesena (+45%) e Genova (+39,5%). I territori, invece, dove le perdite di valore aggiunto sono state più importanti sono Sassari (-25,9%), Oristano (-34,7%), Cagliari (-36,1%), Caltanissetta (-39%) e Nuoro (-50,7%).
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