Economia

Immigrati e lavoro tra cifre e percezione

Nel nostro Paese i due piani sono distanti: per varie ragioni, molti italiani non hanno cognizione dei dati reali
Nella Bassa. Molti gli immigrati che lavorano nelle stalle bresciane
Nella Bassa. Molti gli immigrati che lavorano nelle stalle bresciane
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In occasione della Relazione annuale al Parlamento, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha ribadito che il contributo dei lavoratori immigrati è indispensabile per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano. Il pianeta immigrazione, infatti, produce ogni anno 8 miliardi di euro di contributi previdenziali in un quadro generale segnato dal calo della manodopera e dall’aumento della spesa pensionistica. In termini socioeconomici, la creazione di flussi migratori regolari e l’integrazione dei migranti sono convenienti per l’Italia e l’Unione Europea.

Le dichiarazioni hanno suscitato polemiche e fatto riaffiorare le differenze tra i dati di realtà relativi ad alcuni aspetti del fenomeno migratorio, le letture politiche prevalenti e la percezione sociale. Questo disallineamento è confermato da una rilevazione dell’agenzia Ipsos Mori che colloca l’Italia tra i paesi occidentali col più alto tasso d’ignoranza sull’immigrazione. Per varie ragioni, molti italiani non hanno cognizione dei dati reali, sovrastimandoli o sottostimandoli. Ad esempio: molti pensano che gli immigrati residenti siano il 30% della popolazione anziché l’8,5%,; che i musulmani siano il 20%, invece che il 4% della popolazione totale residente; ecc.

Ne deriva che l’immigrazione è anche una questione cognitiva che attiene la capacità di decifrare il mondo. Ben inteso, non si tratta di un fenomeno indolore o privo di criticità, ma nemmeno può essere additato come la fonte dei molti e irrisolti problemi che da decenni affliggono il nostro Paese, o utilizzato come «tema di distrazione di massa», come di recente denunciato dal cardinale Gualtiero Bassetti (Presidente Cei). Su questioni delicate come l’equilibrio del sistema pensionistico, e il futuro del sistema produttivo, si dovrebbero evitare letture deformanti e interrogarsi su cause e conseguenze della riduzione del numero dei lavoratori italiani e sulla (parziale) compensazione offerta dai lavoratori stranieri.

Nel 2008 gli stranieri residenti erano 3,4 milioni, il 5,8% della popolazione, 10 anni dopo, nel 2017, erano più di 5 milioni pari all’8,5% della popolazione. Secondo l’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, questo cambiamento si è riflettuto nel mercato del lavoro tanto che in 10 anni l’occupazione degli stranieri residenti è aumentata di 733mila unità e quella italiana è diminuita di 800mila unità per i vuoti creati dalla denatalità e dall’invecchiamento della popolazione. Tra il 2008 e il 2017 l’incremento degli stranieri occupati è stato del 43%, mentre gli occupati italiani sono diminuiti del 3,7%. Sono dati che non giustificano una descrizione unilaterale dell’immigrazione che fa ricorso solo a termini-problema come minaccia, rischio ed espulsione. Essi mostrano che la regolarizzazione del fenomeno, attraverso un modello d’integrazione attivante, è un’opportunità che l’economia italiana e lo stesso sistema previdenziale non possono esimersi dal cogliere, oggi e nel prossimo futuro.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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