Hub della conoscenza: «Aggregarsi o perire, in agricoltura basta con l’idea che piccolo è bello»
«Piccolo non è più bello, ma è bruttissimo. Il mercato punisce la piccola dimensione. Così si finisce per essere comperati da qualche fondo di investimento oppure si resta in balia delle catene distributive che fissano il prezzo dei prodotti».
È urgente cambiare il modello operativo del sistema agroalimentare, «bisogna costruire piattaforme competitive a filiera, in grado di arrivare al consumatore finale». Le aziende agricole devono unirsi, «fare massa critica, far nascere consorzi, cooperative, reti, new venture capaci di fare gli investimenti necessari nella tecnologia e nel marketing».
Parole e opinioni del prof. Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, che ha introdotto così l’incontro di ieri a Leno «Dare valore all’agricoltura italiana», promosso da Cassa Padana nell’ambito dell’iniziativa l’«Hub della conoscenza». Il primo «momento di confronto con gli operatori - ha specificato - per rilanciare il settore agricolo del nostro territorio». L’appello al dibattito non è caduto nel vuoto. Diversi agricoltori e allevatori presenti sono intervenuti per esprimere un’opinione o sollecitare chiarimenti. La necessità di una maggiore aggregazione è sentimento comune, il tema è con quali modalità.
Intanto il sasso per smuovere le acque è stata lanciato. L’argomento è tutt’altro che semplice, considerando anche la mentalità, la tradizione, la storia di buona parte dell’agricoltura bresciana fondata sul «piccolo è bello». D’altra parte, ha sostenuto il prof. Angelo Baronio (che con Noci tira i fili dell’«Hub della conoscenza»), bisogna vincere le resistenze al cambiamento. La storia di questo territorio «ci insegna che nei momenti di svolta si deve avere coraggio». Baronio ha ricordato, come esempio, le trasformazioni agricole tra fine Ottocento-primi Novecento e la nascita della casse rurali.
La dimensione
L’Italian sounding nel mondo (l’imitazione delle nostre eccellenze agroalimentari) vale quasi 80 miliardi l’anno a cui aggiungere i 50 miliardi dell’export. «Sono questi 130 miliardi che dobbiamo aggredire», ha sottolineato Noci.
Per farlo occorre «la dimensione». Solo facendo massa critica, secondo Noci, le aziende possono realizzare due obiettivi: costruire la filiera per arrivare ai consumatori (e dunque determinare i prezzi), investire (oltre che sui prodotti) anche sul marketing e conquistare fette di mercato («Fare business»). Il made in Italy è un brand unico e straordinario, che va cavalcato puntando sulla qualità
Testimoni
L’incontro ha proposto alcune testimonianze nel senso auspicato da Noci. Tre esperienze bresciane accomunate dalla scelta di guardare oltre il proprio recinto. «Esempi antesignani di modelli a piattaforma, con aziende che si mettono insieme per fare ciò che da sole non riuscirebbero», ha spiegato Noci.
Alberto Cavagnini, amministratore delegato di un grande allevamento di scrofe a Milzano, ha illustrato gli sforzi fatti per innovare sistema di controllo e ciclo di produzione; ha costituito una partnership con un brand per un progetto di filiera, così da commercializzate il suo prodotto.
Marco Baresi, allevatore e consigliere di Confocooperative, ha ricordato il ruolo e il peso della cooperazione nell’agricoltura lombarda: 197 aziende, 31.750 soci, 4.540 addetti, 3,9 miliardi di fatturato (con Brescia, Cremona e Mantova a fare la parte del leone). Baresi gestisce due aziende zootecniche, a Lonato e Cigole, e come Cavagnini si avvale della collaborazione delle università.
Alessandro Scartapacchio, 25enne socio della Cooperativa agricola Manerbiese (nata nel 1972), ha sottolineato il valore aggiunto di operare insieme: «Si mettono in comune risorse, idee, obiettivi. Si rinuncia a un pezzo di libertà per la libertà più grande di poter crescere meglio».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Economia & Lavoro
Storie e notizie di aziende, startup, imprese, ma anche di lavoro e opportunità di impiego a Brescia e dintorni.