Gruppi, 2021 record per i «top 100» bresciani ma gli investimenti non ripartono
Lavorare in tanti; più, lavorare tanto; più, far bene ciò che si fa. La somma di questa aritmetica è il record di risultati ottenuti dai primi cento gruppi industriali bresciani della manifattura, parte reattiva della spina dorsale di un Paese che negli ultimi trent’anni ha perso oltre 30 punti di Pil.
L’indagine sui conti delle top 100 è una produzione del Centro studi di Confindustria Brescia condotta da Davide Fedreghini e da Riccardo Pastore, partner e advisory finanziario di Deloitte, 60 miliardi di dollari di ricavi nel mondo, una delle quattro big four della consulenza e revisione.
I numeri
La sintesi della ricerca sul triennio 2019-2021 ci dice che lo scorso anno i primi cento gruppi manifatturieri bresciani hanno realizzato ricavi per 21 miliardi dando lavoro a oltre 56mila persone, ricavi aumentati del 35% sul 2020 e del 22,4% sul 2019; ci ricorda anche che la sotto patrimonializzazione delle imprese bresciane è un dato del passato: oggi la patrimonializzazione è asset consolidato con un indice di indipendenza finanziaria stabile al 49,2% (è il rapporto fra il patrimonio netto e il totale dell’attivo che si pone come indicatore della solidità patrimoniale perché più patrimonio netto si ha meno si ricorre al debito).
Investimenti
Quanto agli investimenti, dopo la pandemia le iniziative di investimento «non sono ripartite - spiega l’analista Davide Fedreghini - come ci si sarebbe aspettato: nel 2019 erano pari a 1,03 miliardi, rimanendo stabili l’anno successivo a 893 milioni e nel 2021 a 897 milioni».
Uscendo dai numeri, le ragioni delle performance espresse da una parte più grande dell’aristocrazia (che una volta voleva dire «governo dei migliori) imprenditoriale bresciana che genera occupazione, paga le tasse, investe (quando serve) credendo in quello che fa e sempre più fa ricerca, vanno lette nella qualità di ciò che i gruppi producono, nell’elevata proiezione internazionale, nell’efficienza del funzionamento delle imprese in cui il margine operativo lordo (un contagiri di redditività che mette in evidenza il reddito di un’impresa tenendo conto unicamente della sua gestione operativa, quindi senza considerare interessi, imposte, deprezzamento di beni e ammortamenti) è migliorato del 54,5% sul 2020 e del 30,1% sul 2019 (performando meglio del fatturato), mentre il rapporto tra margine operativo lordo e ricavi è ai massimi storici, registrando un 12,5% che è lo specchio della capacità delle top 100 di trasferire ai clienti l’aumento dei costi in fase di approvvigionamento.
Anche perché in tre anni le materie prime «hanno eroso l’incidenza delle altre voci di costo (62% del totale) e in particolare - ha spiegato ancora Davide Fedreghini nel corso dei lavori moderati con equilibrio da Massimiliano Del Barba - quelle relative al costo del lavoro e agli ammortamenti» aggiungendo che al momento della stesura della survey «si sa ancora poco sugli effetti dei costi dell’energia».
Le reazioni
Franco Gussalli Beretta, presidente di Confindustria Brescia, avverte che «rincari energetici e crisi geopolitiche delineano uno scenario differente, addirittura più complicato, perché non affrontabile con prudente attesa.
Non scordiamo le incertezze sul futuro dell’Automotive, comparto centrale per il nostro territorio. Siamo attrezzati per affrontare le sfide, ma ora servono risposte anche da parte del nuovo Governo, che deve mettere il lavoro al centro della propria agenda. Ci sono prospettive positive, ma con possibile calo dei margini possibili problema di liquidità delle aziende per il pagamento delle super bollette e per le richieste dei fornitori di energia di pagamento anticipato. G overno e istituzioni finanziarie devono quindi preparare un programma per fronteggiare questo problema, come fatto durante il Covid».
Per il 2022 si prevede un fatturato in rialzo, un Mol meno strong e un calo leggero dei margini. Il passato è un bel ricordo, ma al futuro è meglio non pensarci e lavorare.
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