GreenBone, a Roncadelle cresce un nuovo gioiello del biomedicale
Su quell’inconfondibile edificio cilindrico, che pare un gigantesco blocco di metallo, oggi c’è una nuova insegna: GreenBone. In quello che un tempo è stato il quartier generale di una delle più importanti realtà del biomedicale made in Brescia (Invatec Medtronic) da alcuni anni ha trovato casa una piccola azienda nata all’interno del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Faenza e che è stata capace di sviluppare un processo in grado di trasformare semilavorati in legno di Rattan (una palma rampicante) in «sostituiti ossei» con una composizione molto simile a quella dell’osso umano.
I dispositivi medici prodotti dalla GreenBone portano il marchio «b.Bone», vantano la «certificazione» di due importanti studi clinici (Greennbric e Longbone) e sono stati impiantati in oltre cinquecento pazienti con ottimi risultati.
Le ambizioni
GreenBone, con due brevetti di prodotto e uno di processo in portafoglio, aspira a rivoluzionare il mondo dell’ortopedia: «Il nostro è l’unico prodotto sintetico dalle prestazioni analoghe a quelle garantite da trapianti ossei autologhi o allogenici (da donatore)», aggiunge il Ceo Stefano di Lullo.
Le attività di studio a cui è stato sottoposto «b.Bone» hanno confermato le peculiarità e i benefici del prodotto realizzato a Roncadelle. In diversi casi, alcune ricerche scientifiche hanno evidenziato anche una guarigione del paziente entro soli sei mesi dall’intervento, grazie all’integrazione e alla successiva trasformazione del b.Bone in osso naturale.
Lo scenario
«Il nostro piano industriale – non nasconde il manager – prevede una decisa espansione commerciale su scala internazionale entro il 2027, con positive ricadute sul piano occupazionale, anche grazie alla forte specializzazione della forza lavoro disponibile nel Bresciano. Una previsione – sottolinea di Lullo – garantita anche dalle caratteristiche specifiche dell’impianto di Roncadelle, già predisposto per ospitare una capacità produttiva da 30mila unità annue, a fronte delle attuali 10mila».
Greenbond non è più una start up: la si poteva definire in questo modo quando ha ottenuto i primi risultati sul dispositivo «b.Bone» a Faenza. In seguito la sua crescita è stata supportata da un gruppo di investitori tecnicamente definiti «families and friends» (una ristretta cerchia di operatori selezionati) e, quindi, da diversi fondi di investimento (anche istituzionali) che hanno sostenuto lo sviluppo del progetto incubato in provincia di Ravenna. Da allora la società ha raccolto risorse per oltre 24 milioni di euro e oggi conta un centro ricerche a Faenza, un sito produttivo a Roncadelle (dal 2021), una forza lavoro di 22 addetti e un management di grande esperienza nel settore medicale.
Il piano
Attualmente la società è presente sui mercati del Regno Unito, tedesco e italiano (nel 2025 fatturerà circa un milione di euro), tuttavia, arricchendo ulteriormente l’evidenza clinica del suo prodotto e alle certificazioni Fda e Mdr mira ad ampliare la sua penetrazione commerciale. «Il mercato globale dei sostituiti ossei – evidenzia Di Lullo – ha un valore stimato di quasi 6 miliardi». Tra gli obiettivi posti dal management di GreenBone vi è anche l’estensione di b.Bone per un uso spinale (grazie anche alle risorse ricevute dalla Comunità Europea, è l’unica azienda italiana ad aver ricevuto il grant di 2,5 milioni di euro).
In quest’ottica è stato aperto un nuovo round di finanziamento, che prevede un aumento di capitale sostenuto dagli attuali soci e aperto anche ad altri investitori. Se poi, in futuro, si deciderà di aggiungerci anche un logo alla nuova insegna apparsa sul sito di Roncadelle, in GreenBone ci si potrebbe ispirare alla fenice, l’uccello mitologico che rinasce dalle ceneri, o al fiore di loto, che spunta nella melma dello stagno ed è considerato un simbolo di resilienza.
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