Economia

Gozzi: «Noi industriali non vogliamo morire di sindrome cinese»

Angela Dessì
L’intervento dello special advisor di Confindustria: «Noi industriali non vogliamo morire di sindrome cinese»
Antonio Gozzi - New Reporter Comincini © www.giornaledibrescia.it
Antonio Gozzi - New Reporter Comincini © www.giornaledibrescia.it
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«Serve un grande movimento culturale di opinione che faccia capire a chi decide in Europa che bisogna cambiare registro. Altrimenti andiamo incontro al disastro». Non le manda a dire, Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività.

Alle assise confindustriali, prima evoca il «vizio culturale europeo» (lo definisce anche la «sindrome dei primi della classe») che ha portato l’Europa «a voler regolare tutto e pretendere che il resto del mondo seguisse le sue regole, cosa che peraltro non è successa» e poi si concentra sul tema dell’automotive e, non da meno, sullo scenario futuro legato alle elezioni americane.

Lo choc

«Spero che l’elezione di Trump ora sia uno choc per l’Europa - affonda -: sui dazi l’ipotesi è che le politiche vengano ulteriormente esasperate, con le auto elettriche cinesi che cercheranno sbocchi dove i mercati sono aperti. Se a questo si aggiunge che continueranno gli interventi a favore dell’industria americana e ci sarà un ulteriore allentamento delle politiche di decarbonizzazione, si comprende bene come le tre cose vadano considerate pericoli letali per l’industria europea, perché faranno aumentare ulteriormente le asimmetrie».

Poi puntualizza: «Noi industriali dobbiamo assumere una attitudine da combattenti. Non ci stiamo a morire di sindrome cinese. Tutta la nostra forza deve essere riversata in un grande movimento culturale e di opinione che faccia comprendere ai decision maker che bisogna cambiare registro perché così, altrimenti, andiamo incontro al disastro. Sarà una battaglia dura ma sarà l’ultima battaglia, perché o ce la facciamo o cambierà tutto, anche il modello sociale inclusivo europeo, che sta in piedi solo se c’è un sistema industriale che lo sorregge».

Sulla medesima lunghezza d’onda anche Benjamin Krieger, segretario generale di Clepa, l’Associazione europea dei produttori di componentistica dell’automotive, che indugia sul fatto che il green deal deve essere assolutamente revisionato.

«Dobbiamo guardare all’impatto complessivo e globale dell’innovazione – sintetizza -: stanno cercando di fare una cosa a fin di bene ma il rischio è di creare un danno con impatto superiore ai benefici stessi».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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