Fonderie, dribblata la crisi energetica: il 2023 è partito col segno positivo
L’aumento spropositato dei costi energetici del 2022 ha creato una crisi molto dura, ma le fonderie hanno retto l’urto. Gli ultimi dati in arrivo dai bilanci dicono che la produzione è stata in linea con quella del 2021 nonostante molte aziende siano state costrette a sospendere temporaneamente le attività, con i metalli ferrosi passati da 1,06 a 1,05 milioni di tonnellate (-0,7%), e i non ferrosi da 880.453 a 820.582 tonnellate (-6,8%).
I fatturati invece sono addirittura cresciuti, del 32,6% per le fonderie dei ferrosi, fino a 2 miliardi e 862 milioni di euro, e del 15,9% per quelle dei non ferrosi, fino a 4 miliardi e 491 milioni, grazie ai ritocchi ai prezzi di vendita che applicati per difendere le marginalità dall’aumento dei costi di produzione. A tracciare un primo quadro ufficiale, di settore, della resistenza delle 991 fonderie italiane ai venti di tempesta dell’ultimo anno, è stato il presidente di Assofond, Fabio Zanardi, durante l’assemblea generale dell’associazione tenutasi nei giorni scorsi a Soave, nel veronese.
Le assise
Zanardi ha aperto l’assemblea dell’associazione confindustriale fondato nel 1948 sottolineando come «il problema energetico non può essere considerato risolto nonostante il raffreddamento dei prezzi di gas e elettricità, perché a monte i fondamentali che hanno causato le gravi anomalie non sono stati corretti».
Poi ha puntato il dito contro la condizione dei prezzi italiani nel contesto europeo, considerato che «sia in tema di gas che di energia elettrica nel nostro paese si pagano costi sempre superiori sia a quelli tedeschi, francesi e spagnoli, sia a quelli dell’area scandinava». «Proprio per ridurre questo gap competitivo - ha ricordato il presidente - stiamo chiedendo al governo la proroga del credito d’imposta, che ha contribuito a salvaguardare le nostre imprese nel momento della crisi più dura».
Il 2023
Intanto, dopo l’«anno della resistenza», il 2023 è iniziato con un primo trimestre da «segno più».
Nel confronto congiunturale (con il quarto trimestre 2022) la produzione ha fatto +7,1%, mentre quella tendenziale (rispetto allo stesso periodo dell’anno passato) è cresciuta del 3,3%. Migliorato anche il fatturato generale, del 5,8% a livello congiunturale e del 7,7% a livello congiunturale. Una condizione allora quella attuale che il presidente di Assofond ha definito «soddisfacente», senza però dimenticarsi di ricordare come «nell’ultimo anno considerato davvero buono, cioè il 2018, la produzione di getti ferrosi nazionale era stata di 1,25 milioni di tonnellate, cioè 200.000 in più rispetto al 2022, e quella dei non ferrosi di 867.544 tonnellate, con una differenza quindi di 46.900 tonnellate».
Il nodo mismatch
Nell’intervento non sono mancati passaggi sulle difficoltà di reperimento di personale, sulla amministrazione delle imprese (governance) e sul cammino di sostenibilità. Il personale? «In futuro sarà da fidelizzare, perché non basteranno più uno stipendio buono e stimoli lavorativi ma servirà creare una situazione in cui i dipendenti avranno servizi per loro e per le loro famiglie che troveranno molto difficile lasciare. In tema di governance servirà valutare attentamente se con le dimensioni attuali e con l’attuale modalità di gestione le nostre imprese saranno ancora vive tra dieci anni. Al capitolo sostenibilità invece diventerà fondamentale che le fonderie vengano viste come soggetti capaci di togliere rifiuti dall’ambiente (per esempio i rottami) e riutilizzarli creando componenti tecnologicamente avanzati e preziosi nella tutela dell’ambiente».
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