Ex lanificio, arrivano il Brico, il discount e 30 posti di lavoro
Il lanificio era la fabbrica del paese, anzi di due paesi essendo stato costruito parte a Gavardo e parte a Villanuova; quando venne aperto, nel 1889, il cantiere occupava 1.800 operai messi a disposizione dalla «Cooperativa dei lavoranti muratori di Brescia» che in diciotto mesi portarono a conclusione il progetto dell’ingegner Ovidio Rossi, gavardese, al quale si erano rivolti i filatori svizzeri Hefti (con loro il commerciante di lane Noerbel, il banchiere milanese Villa, il finanziere svizzero Volti e l’imprenditore zurighese Vepper, la famiglia bergamasca Gussoni) per realizzare uno stabilimento che avrebbe sfruttato l’energia delle acque del Chiese.
Poco lontano, a Villanuova con il cotonificio Ottolini ed a Roè Volciano con la De Angeli Frua lo sfruttamento dell’acqua del fiume era lo stesso. Identiche storie d’impresa insomma, in una provincia che con le filature lungo il Chiese e lungo l’Oglio sarebbe diventata una piccola Manchester. Del cotoniero bresciano rimane poco e ad uno ad uno in gran parte dei vecchi siti si è dovuta riscrivere la storia e rivedere il modello d’impresa.
Ora tocca al Lanificio di Gavardo (anche se in realtà l’ingresso è a Bostone di Villanuova) chiuso nel 1990, sulla cui area di 40.000 metri è in corso (dopo una convenzione tra le due amministrazioni comunali e la proprietà della società Rialto 2 che fa riferimento all’imprenditore villanovese Carlo Dragoni) un programma integrato di intervento curato dall’architetto Silvano Buzzi, che in una prima fase vedrà la realizzazione di un immobile di tremila metri che ospiterà un Brico ed un discount con complessivi trenta nuovi posti di lavoro (con attenzione prima ai lavoratori delle due amministrazioni), cui si affiancherà un deposito di mezzi della Secoval.
Ci saranno poi dieci anni di tempo per completare tutte le previsioni contenute nello strumento urbanistico. Da luogo di produzione a luogo di consumo, ma senza consumo non c’è produzione quindi l’area dell’ex filatura torna nel circuito dell’economia, dopo stagioni di sviluppo e di crisi: nel 1976, dopo la ragione sociale con le parole Lanificio di Gavardo si passa a Grignasco Garda, su iniziativa della Gepi (finanziaria pubblica per i salvataggi e le ristrutturazioni industriali) e di un imprenditore piemontese, gestione che andrà avanti fino a metà degli anni Ottanta (18 miliardi di fatturato nel 1985 con poco più di trecento addetti) prima di un limbo di cinque anni e definitiva chiusura nel Novanta.
Sull’ex lanificio se ne sono lette (e scritte) di ogni, ma i cicli economici, il ridisegno del commercio, l’apertura di nuovi grandi mall hanno tuttavia ritardato un’operazione di recupero di cui si parla da anni e che ora riparte: la Soprintendenza ha richiesto che alcune testimonianze di architettura industriale entro la quale è stato espresso un glorioso passato produttivo rimanessero (le vecchie facciate faranno da quinta ai nuovi edifici che staranno alle spalle tra la vecchia 45 bis e il canale di derivazione delle acque del Chiese che allora alimentava le turbine e oggi alimenta la centrale alle spalle del cotonificio), la «ponticella» che attraversa il canale sarà riqualificata, un brano importante dei due paesi insomma si rinnova.
La prima tranche dei lavori sarà conclusa nell’autunno 2018, cinque milioni di euro gli investimenti cui si aggiungeranno gli investimenti futuri. Labour intensive è parola d’oggi, ma nell’industria è un dato sempre più di ieri: a Gavardo giravano 25mila fusi di filatura e settemila di torcitura e nel 1950 il lanificio dava lavoro a 1500 persone di cui due terzi donne. Ora si volta pagina per ricominciare.
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