Economia

E' morto Emilio Riva, il patron dell'Ilva

Tra gli stabilimenti del gruppo siderurgico al centro dell'inchiesta sui veleni anche quelli camuni di Sellero, Cerveno e Malegno
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Emilio Riva, magnate dell’acciaio e proprietario della Ilva, è morto all’età di 87 anni nella sua Milano, dove nacque il 22 giugno del 1926. Nel 1954 a soli 28 anni fondò la Riva & C insieme al fratello Adriano, commercializzando rottami ferrosi, destinati alle acciaierie del Bresciano.

Tre anni dopo realizzò la prima acciaieria a Caronno Pertusella (Varese) dove, nel 1964, installò, primo al mondo, la macchina a colata continua. Laureato in ingegneria honoris causa, Riva non si definiva un «capitalista» ma un «imprenditore industriale». «Non sono padrone neanche di un cane - diceva di sè - sono un datore di lavoro », ma in realtà era il classico uomo al comando, che in azienda controllava tutto, lasciando aperti, con la sua scomparsa, molti interrogativi sul futuro dell’azienda, che conta oggi 38 stabilimenti in Italia e nel mondo (compresi i tre stabilimenti camuni di Sellero, Cerveno e Malegno) per la produzione di acciaio grezzo, coils, vergella, tondo per cemento armato, barre-billette laminate, lamiere da treno, tubi saldati, tubi forma e travi, che impiega circa 25 mila dipendenti e realizza un fatturato stabile attorno ai 10 miliardi di euro.

Nel 1988, diventando azionista di maggioranza della società Acciaierie di Cornigliano, con quote di minoranza affidate all’Ilva (già Italsider), Riva diede vita alla prima società mista a partecipazione statale. In questo modo la produzione del Gruppo raddoppiava e la sua gamma di prodotti si estendeva alle bramme (semilavorati destinati alla laminazione in prodotti piatti). Nell’aprile del 1995 Riva portò a termine la seconda grande operazione rilevando dall’Ilva lo stabilimento siderurgico di Taranto, già attivo dal 1961.

In un solo anno, tra il 1994 e 1995, la produzione di acciaio incrementò da 6 a 14,6 milioni di tonnellate e quella di laminati da 5 a 12,8 milioni di tonnellate. Il sequestro dei beni del gruppo da parte della magistratura di Taranto risale al maggio del 2013, provvedimento poi annullato dalla Corte di Cassazione. Riva - commentano ambienti a lui vicini - «se n’è andato con il rammarico di non potersi difendere dalle accuse infondate che gli venivano contestate, ma anche con la certezza che la giustizia avrebbe fatto il proprio corso, restituendo alla famiglia e al gruppo la piena onorabilità».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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