Dal Foppa all'archistar: Valeria al lavoro per Zaha Hadid
«Gli uffici di Londra? Due palazzi piuttosto vecchi, non ti danno proprio la sensazione di entrare nel magico mondo di Zaha Hadid. Che invece è un universo di forme pazze, in cui tutto è spinto allestremo». Valeria attraversa ogni giorno il cancello del grosso edificio in mattoni al numero 10 di Bowling Green Lane. Dentro questo studio dall'aspetto anonimo, 450 architetti di ogni nazionalità disegnano, si confrontano e progettano nel solco di quelle linee sinuose divenute celebri in tutto il mondo.
Valeria Mazzilli ha 27 anni ed è di Brescia, città che con la creatività ha poco a che fare (o, se l’ha, certo la tiene per sé) ma che le ha dato il la per la sua carriera. Dopo il diploma al liceo artistico Foppa e una laurea in architettura al Pratt Institute di New York, Valeria è approdata da qualche anno in uno degli studi più ambiti del globo terrestre: quello dellarchistar irachena, autrice fra le altre cose del Maxxi di Roma, dell'Heydar Aliyev Center e dell'Aquatic Centre delle Olimpiadi del 2012. Prima donna a ricevere i tre principali riconoscimenti del mondo dellarchitettura - il Pritzker, lo Stirling e la medaglia doro del Royal Institute of British Architects -, Zaha Hadid è morta nel 2016.
«Proprio mentre scrivevo la tesi. L’ho incontrata quando è venuta a New York per una lecture. Allora sognavo di lavorare con lei, ma mi sembrava un sogno irraggiungibile». Niente limiti ai sogni... Nella storia di Valeria ci sono una serie di tasselli che si incastrano in modo propizio. Il primo è un'estate a Chicago alla fine del quarto anno di liceo che le ha aperto le porte dell'America del Nord. Il secondo è l'ammissione al Pratt, «dove ti insegnano a proporre idee forti, concettuali, e ad esprimerle in modo innovativo. Sono stati anni fondamentali».
Ma come si arriva a bussare al top di gamma? «Dopo luniversità ho iniziato a lavorare per Fernando Romero a New York, un ambiente bello, con tanti giovani - racconta -. Finché sono riuscita a entrare in contatto con Zaha Hadid Architects». Tre colloqui e poi il trasferimento in una Gran Bretagna di schizzi, competizioni internazionali, sessioni di lavoro notturne e un ambiente multiculturale. «Qui tutto è spinto al limite. Si lavora su tutte le scale: dagli aeroporti e musei fino ai prodotti e al design degli interni. Vengono esplorate mille opzioni, si pensa a mille modi diversi per creare uno spazio. La parte più bella è la fase iniziale del progetto, quando schizzi e ti confronti con il team».
L'età media è sui 35 anni. Si lavora per gare e committenti esteri («uno dei momenti migliori? L'inaugurazione dell'hotel Morpheus in Cina, uno spazio incredibile e futuristico»), «ed è incredibile vedere realizzate dal vivo quelle curve infinite che prima vedevi sullo schermo».
A fare da contraltare cè però un prevedibile risvolto della medaglia: «Gli orari spesso non esistono, le aspettative sono alte: sai dove lavori e ti ritieni fortunato, quindi devi essere sempre al top. In tanti casi - osserva Valeria - finisci per dipendere dal tuo lavoro. Tanti associati e senior non hanno una vita al di fuori da qui». Senza contare la paga, che - a sorpresa - non eccelle nemmeno negli studi delle archistar. È una cresta difficile da cavalcare. Anche nella Londra patinata e anche per chi, come Valeria, ha alle spalle un percorso délite. Ma è la sfida della generazione in fuga. Con un po' di rimpianto per quel Belpaese, dove le possibilità sono troppo poche.
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