Economia

Cosa pensa il fondatore di Invatec della scelta di Medtronic

Andrea Venturelli interviene da Singapore: «Quest’azienda è al top e non va smontata»
Il bresciano. Andrea Venturelli, fondatore della Invatec - © www.giornaledibrescia.it
Il bresciano. Andrea Venturelli, fondatore della Invatec - © www.giornaledibrescia.it
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Da anni vive lontano da Brescia. «Dal 2012, da quando ho chiuso la mia esperienza in Medtronic - conferma Andrea Venturelli - mi sono dedicato alla famiglia, che in precedenza avevo trascurato a beneficio del lavoro, trasferendomi prima negli Stati Uniti e dallo scorso settembre in Indonesia».

Il fondatore di Invatec, comunque, dopo aver ceduto la sua azienda alla multinazionale americana non si sta godendo una (lunga) vacanza premio, anzi. «Ho deciso di investire in progetti che mi piacciono e con gente che mi piace - non nasconde il bresciano -. Per questi motivi ora mi trovo a Singapore e domani partirò per un altro viaggio di lavoro».

In che cosa investe? «In start-up, per lo più attive nel comparto biomedicale». Ha saputo che Medtronic cesserà l’attività di Invatec nel Bresciano? «Sì, purtroppo. Ho saputo di questa decisione dai giornali e non ne conosco le motivazioni. Una scelta che mi ha colto di sorpresa, mi creda: il sito di Brescia non è secondo a nessuno nel mondo ed escludo che il trasferimento delle attività in altri stabilimenti Medtronic sia motivata essenzialmente da un elevato costo del personale».

Quando ha ceduto l’azienda a Medtronic, nel 2010, disse che quello era l’unico modo per dare un futuro a Invatec. Ne è ancora convinto? «Certamente. Lei sa bene che Invatec realizza prodotti per l’ambito cardiovascolare e solo grazie a Medtronic ha salvato più vite di quanto potesse fare da sola. Invatec è diventata un’eccellenza anche per mezzo di Medtronic, che negli stabilimenti bresciani ha investito pesantemente (circa 100 milioni di euro, ndr), trovando anche mercati sbocco a tecnologie che noi non avevamo le forze per poter sviluppare».

E allora perché all’improvviso il colosso Usa avrebbe deciso di disperdere uno dei suoi gioielli? «Lo ribadisco: non conosco le motivazioni di questa scelta. Non me l’aspettavo, anche se nell’ultima relazione data agli investitori, il ceo di Medtronic aveva anticipato un progetto globale di ristrutturazione logistica che avrebbe costretto il suo gruppo a una spesa di centinaia di milioni di dollari. Non è una scelta fatta sul nulla, insomma».

Li sta dunque giustificando? «No, tutt’altro. Ritengo che per Medtronic sarebbe stato più appropriato affrontare il problema coinvolgendo tutti i rappresentanti del territorio, con l’intento di trovare una soluzione alternativa alla cessazione dell’attività».

C’è chi l’accusa perché lei sapesse anzitempo che la storia di Invatec sarebbe finita così ... « ... e si sbaglia. Basti pensare che durante la trattativa di vendita, Medtronic insistette per la cessione anche degli immobili. Un aspetto che conferma la consistenza del progetto industriale che avevano già allora gli americani. Non solo: dall’ultimo bilancio fiscale di Invatec emerge che Medtronic ha costantemente investito in impianti e competenze presenti negli stabilimenti bresciani».

Lei pensa che la decisione della multinazionale statunitense sia irreversibile? «Io auspico che la storia di Invatec non sia arrivata alla fine. E senza farci illusioni, se qualcuno volesse coinvolgermi, metto a disposizione la mia esperienza per valutare la situazione e per ipotizzare insieme alle altre parti in gioco scenari alternativi alla chiusura».

Quale potrebbe essere l’alternativa? «Se Invatec non può stare all’interno di Medtronic, ad esempio, non è detto che non possa continuare ad essere un’azienda performante fuori dai confini della multinazionale, magari come suo primo fornitore e mettendo contemporaneamente il suo know how a disposizione anche di altre realtà». Si spieghi meglio, per favore. «Le faccio un esempio. Quando penso a Invatec immagino una macchina che va più veloce di tutte le altre: che ha il motore migliore, i pneumatici più performanti e il pilota più abile. Prima di smontare a pezzi questa macchina, vediamo se ci sono altri circuiti dove essa può ancora primeggiare. Verifichiamo insomma se valga davvero la pensa demolire questa macchina, unica nel suo genere».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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