Contratti collettivi pirata: 992 quelli depositati al Cnel
Troppi contratti firmati da sigle piccole e poco rappresentative. I contratti collettivi nazionali sono quasi raddoppiati negli ultimi dieci anni ma in molti casi riguardano un numero esiguo di lavoratori. Di fatto «oltre il 90%» dei dipendenti è tutelato da un Ccnl quasi sempre firmato da Cgil, Cisl e Uil. La Fondazione Di Vittorio della Cgil fa un bilancio sulla contrattazione e fotografa «l'anomala proliferazione» dei Ccnl e il ruolo dei sindacati confederali.
Il rinnovo
Un fronte, quello dei contratti, su cui in un contesto di alta inflazione e bassi salari è più che mai rivolta l'attenzione per sostenere gli incrementi ed i rinnovi: all'inizio di febbraio risultano in attesa di rinnovo quasi otto milioni di occupati, secondo l'Archivio nazionale dei contratti del Cnel (gli accordi scaduti sono 516 su un totale di 835, esclusi i comparti dell'agricoltura e del lavoro domestico). A fine 2021 si è raggiunta la quota di 992 contratti vigenti depositati al Cnel con una crescita dell'80% rispetto ai 551 del 2012. Tra questi 992, solo il 25% è siglato da Cgil, Cisl e Uil - sottolinea l'analisi della Fondazione -, il 75% da altre organizzazioni sindacali che però interessano una platea ristretta di dipendenti. Accordi e regole che finiscono per esercitare una pressione «verso il basso sui salari e sulle condizioni lavorative» stabilite invece nei contratti «più consolidati e rappresentativi», evidenzia ancora il rapporto. Di qui, secondo il sindacato, la necessità di portare avanti la battaglia contro gli accordi «pirata» e il dumping contrattuale: per la Cgil è per questo «urgente» una legge sulla rappresentanza che definisca i criteri della rappresentatività sindacale e datoriale. Un modo per arrivare anche al riconoscimento della validità generale, e quindi all'applicazione erga omnes, dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
Sindacati divisi
Una strada, quella della legge sulla rappresentanza, che però non è mai piaciuta a Cisl e Uil, secondo cui la via da seguire è quella dell'accordo tra le parti. Anche Confindustria, come ribadisce il presidente Carlo Bonomi, ricorda che con Cgil, Cisl e Uil è stato firmato un accordo interconfederale nel 2018, il Patto per la fabbrica, «nel quale ci siamo dati l'impegno per misurarci sulla rappresentatività. Non siamo stati noi a fermare l'accordo». L'applicazione erga omnes dei minimi contrattuali (intesi come trattamento complessivo del rapporto di lavoro) per i diversi settori potrebbe peraltro essere la via italiana per il salario minimo. Su cui il confronto è aperto.
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