Cereali, la fusione di Comacer e Copag crea un nuovo colosso bresciano
Ci sono «matrimoni» che s’hanno da fare. Perché tornano utili ad entrambi i contraenti, soprattutto oggi che, per stare al passo con mercati sempre più difficili, è necessario fare rete. Ma anche perché, dopo anni di convivenza, una solida e rassicurante unione è il naturale sbocco. Nei giorni scorsi, alla presenza di un notaio, la Copag (che dal 1976 supporta gli agricoltori in tutte le operazioni che si fanno nei campi, dalla semina al raccolto) e la Comacer (che dal 1996 ritira i cereali per essiccarli e commercializzarli) si sono unite per diventare un’unica realtà.
Tecnicamente c’è stata una fusione per incorporazione della Comacer nella Copag: un processo grazie al quale è stata creata un’unica e grande società, praticamente una filiera capace di unire la terra, intesa come luogo di produzione dei cereali, al mercato, dove questi cereali vengono poi commercializzati.
Il punto
Il matrimonio era nell’aria perché la Copag (guidata dal presidente Gianbattista Facchi e da un Cda di 19 consiglieri) e la Comacer (con Mauro Canobbio a capo di un Cda di 13 consiglieri) erano già parzialmente «sovrapponibili». Non solo perché, fisicamente, insistono sulla stessa area: la sede e i capannoni di entrambe le società si trovano in un ampio spazio a Ghedi, in via Isorella. Non solo perché molti soci dell’una sono anche soci dell’altra. Ma anche perché, ad esempio, 6 membri del Cda di Copag sono anche nel Cda di Comacer. Non a caso, essendo già «misto», cioè rappresentativo di entrambe le realtà, dopo la fusione è rimasto un carica il Cda della Copag, con Facchi presidente.
Nell’ultimo anno le due realtà avevano registrato importanti novità. Comacer ad esempio, ha realizzato un nuovo impianto di essiccazione dei cereali «che - spiegano Canobbio e Facchi - consente di sveltire le operazioni, quindi di evitare accumuli di cereali. Stiamo parlando di 240.000 quintali di stoccaggio, che presto aumenteranno, perché è in programma un ulteriore ampliamento per altri 100.000 quintali». Numeri importanti, che non devono stupire: la nuova realtà, infatti, ha «competenza» su un’area di 15.000 ettari. In pratica possiamo dire che buona parte del grano tenero, del grano duro, della colza, del mais e della soia coltivati nella zona passano da lì.
Le prospettive
La fusione è destinata a portare interessanti novità anche in ambito tecnologico. Non che ora la tecnologia sia assente, «ma - spiegano Canobbio e Facchi - anche grazie ai trattori 4.0, il progetto di digitalizzazione sarà implementato. Si veda, ad esempio, il discorso sulla tracciabilità, che le grandi aziende a cui vendiamo i nostri cereali chiedono con sempre maggiore insistenza. Avendo creato un’unica filiera, siamo in grado di tracciare automaticamente tutto, dal chicco che mettiamo a dimora nel terreno fino alle camionate di cereali che vendiamo».
Facchi e Canobbio (che rimane nel Cda della nuova compagine) ricordano che la Coop, che ovviamente ha pure l’obiettivo di valorizzare la qualità, non ha fini di lucro: «Tutti i dividendi vanno ai soci».
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