Burnout: lo stress da lavoro colpisce una persona su cinque
Insonnia, cefalea, disturbi della pelle, sfiducia personale, frustrazione, depressione. Gli effetti, fisici e psichici, possono essere innumerevoli. E sono tanto reali che l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto il burnout come una condizione medica associata a stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, inserendolo nella classificazione internazionale delle malattie.
La diffusione del burnout
La sua diffusione rivela dati shock: a livello globale, la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout si attesta intorno al 22%. Un lavoratore su cinque.
Il fenomeno dello «stress da lavoro» colpisce in modo più significativo dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani. In particolare, l’80% di dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial sarebbe pronto a lasciare il lavoro, a causa di una cultura aziendale tossica. È il collasso energetico ed emotivo tipico di una società sempre più frenetica e di corsa. Perché quando lo stress non è in giusta misura tale da garantire il corretto carburante all’individuo, diventa cronico e comporta una sofferenza psico-fisica che si manifesta con paura, ansia, insicurezza, timore di perdere il controllo.
La sindrome
Arriva così la sindrome da burnout, che in senso letterale significa «bruciato, fuso, esaurito»: una risposta prolungata e intensa allo stress da lavoro nel momento in cui un soggetto viene prosciugato dal carico di obblighi e compiti da svolgere.
È un particolare tipo di distress che si presenta soprattutto in occupazioni che implicano un forte coinvolgimento emotivo e che si manifesta con una difficoltà di adattamento ai cambiamenti e nell’affrontare le conseguenze che l’evento stressante comporta, con sensazioni di maggiore vulnerabilità e peggioramento della qualità della vita, anche dal punto di vista sociale e relazionale.
Malattia del futuro
Molti studi lo ritengono uno dei grandi allarmi sociali del futuro, anche perché ha un’incidenza diretta sul taglio della produttività e sul calo di competitività causando perdite che possono potenzialmente tramutarsi in decine, centinaia di miliardi di perdite.
Alcuni datori di lavoro stanno passando all’azione per arrestare il dilagare del fenomeno formando i dipendenti a diventare più resilienti. Ma un’indagine McKinsey indica che i dipendenti resilienti e adattabili hanno sì un vantaggio nella gestione delle avversità, ma le sole capacità individuali non possono compensare i comportamenti insidiosi sul posto di lavoro.
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