Economia

Anno amaro con poco miele e prezzi in aumento

La produzione bresciana è quasi dimezzata: colpa delle piogge e del freddo che hanno caratterizzato l'estate, oltre che dei pesticidi
Miele, anno da dimenticare
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Se non è un disastro, poco ci manca. La produzione di miele è ridimensionata di almeno il 50%, gli esperti bresciani e lombardi di arnie e melari hanno pagato duro la lunga stagione di piogge e assenza di caldo estivo che ha caratterizzato tutto il 2014.

Tra professionisti e dilettanti, i 500 operatori della nostra provincia non si sono nemmeno avvicinati alle quantità di prodotto che avevano caratterizzato il 2012, l’ultimo anno di buona resa. Dei 3.500 quintali annui, negli ultimi 12 mesi ne sono rimasti meno di 2.000, anche se gli alveari bresciani continuano a essere circa 15 mila e l’esercito di piccole api che li abitano e ci lavorano sempre a cavallo dei 900 milioni di esemplari.

«Una decrescita che ha fatto lievitare i prezzi al consumo, ma non ha impedito al comparto di nicchia di scontare ammanchi di guadagno, visto che - come ci ha spiegato Lorenzo Lorenzi, il presidente dell’Associazione dei produttori apistici bresciani (Apab) affiliata a Coldiretti che in provincia rappresenta 320 apicoltori - l’incremento medio è stato del 10% e non certo del 50. L’assenza di un normale periodo di caldo - continua Lorenzi - ha messo in ginocchio la produzione perchè le basse temperature notturne hanno drasticamente ridotto la secrezione del nettare dei fiori e le api non hanno trovato da bottinare».

Una situazione rischiosa per la stessa sopravvivenza dei piccoli volatili. «Va detto che, su una produzione di un alveare di 250 chili di miele, circa 200-220 chili le api lo consumano per la loro attività - dice Lorenzi -. Il vistoso ammanco del 2014 ha ridotto gli alveari a raggiungere l’autunno senza più scorte, e ci siamo visti costretti a provvedere al loro nutrimento con il candito per non lasciarle morire di fame».

Fino a domani i professionisti del settore sono riuniti a Cologno al Serio, nella Bergamasca, per il XXXI Congresso nazionale dell’apicoltura professionale. Organizzato da Aapi, Unaapi, Apilombardia e Associazione produttori apistici della provincia di Bergamo, l'appuntamento è caratterizzato anche da un momento particolarmente difficile legato agli avvelenamenti causati dall’uso di pesticidi e insetticidi sulle colture agricole intensive.
 
«Mi piace che non ci si dimentichi - conclude Lorenzi - che le api non producono solo il 50% di fabbisogno di miele nazionale, ma consentono di riprodursi al 70% delle 100 specie di piante che forniscono il 90% degli alimenti di tutto il mondo».

Flavio Archetti

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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