Acciaio e alluminio, intesa dazi Usa: ottima notizia per Brescia
C’è soddisfazione nel mondo della sidermetallurgia bresciana dopo l’accordo per l’allentamento dei dazi americani sulle importazioni di acciaio e alluminio. Le tariffe aggiuntive - ricordiamo - erano state imposte nel giugno 2018 dall’ex presidente Usa, Donald Trump che aveva denunciato presunte minacce alla sicurezza nazionale americana invasa da produzioni estere. L’Europa, a sua volta, aveva risposto con tasse su motociclette, jeans, tabacco, mais, riso e succo d’arancia prodotti negli Usa.
La quota di prodotti sidermetallurgici esportati da Brescia nel primo semestre 2021 supera abbondantemente i 2,25 miliardi, ma quella spedita negli Stati Uniti (l’elaborazione dei dati Istat è fornita dall’Ufficio studi di Confindustria Brescia) è apparentemente contenuta. Nei primi sei mesi del 2021 le aziende bresciane hanno venduto agli Usa prodotti per 44 milioni; erano 30 nel 2020; 61 milioni del 2019; il record nel 2018 a 90milioni, ma negli anni precedenti sempre tra una cifra compresa tra i 30 e 40 milioni.
L'impatto
Numeri marginali, come conferma Mauro Cibaldi, membro del consiglio di Confindustria Brescia e past president di Centroal, la branchia dell’alluminio di Assomet, l’Associazione Nazionale Industrie Metalli non Ferrosi. Ma probabilmente sottostimati poiché non riescono ad intercettare flussi doganali bresciani in partenza da altre province. L’intesa se da un lato apre al ricco mercato Nordamericano, dall'altro interroga i piccoli distributori e utilizzatori locali che temono l’aggravarsi dello stato di carenza che affligge il mercato.Secondo Pierluigi Cordua, presidente Apindustria Confapi Brescia «l’accordo tra Usa e Unione europea se da un lato produrrà un incremento delle esportazioni verso gli States dall'altro lato rischia di aggravare la già elevata carenza di acciaio nel mercato del Vecchio Continente. Lo spread di prezzo tra acciai Usa ed europei contribuirà ad aumentare l'export». «Benché non vi siano segnali concreti in questa direzione - conclude Cordua -, gli operatori si aspettano una revisione anche del sistema delle quote voluto da Bruxelles».
La visione degli imprenditori
Gli imprenditori siderurgici bresciani salutano con favore l’intesa. «Lo riteniamo un buon accordo - ha sottolineato Giuseppe Pasini, presidente del Gruppo Feralpi -. Fino al 2018 Brescia esportava prodotti lunghi negli States, ovvero tondo per cemento armato e vergella. La riapertura è un segnale importante. Per Feralpi si tratta di una quota non indifferente: prima del 2018 esportavamo circa 150mila tonnellate l’anno negli States. Ed il mercato americano ha sempre riconosciuto l’alta qualità dell’acciaio italiano».
Sulla stessa lunghezza d’onda Ruggero Brunori, ad di Ferriera Valsabbia. Anche il gruppo con sede a Odolo faceva buoni numeri negli Usa prima dell’innalzamento dei dazi: «Applicare dazi in un mondo aperto e globalizzato è la chiara dimostrazione che qualcosa non sta funzionando. Quella di Trump è stata una politica miope; i dazi sono solo un palliativo alle debolezze delle imprese di casa, non risolve i problemi, anzi li amplifica». Per Brunori se le nostre imprese siderurgiche «competono sul mercato americano è la chiara dimostrazione che sanno produrre bene e fanno prodotti di qualità».
Carbon free
La sfida è un’altra: far diventare predominante il modello che intreccia la crescita economica, la transizione ecologica e la coesione sociale. Nell’accordo c’è l’impegno a negoziare modalità di produzione dell’acciaio e dell’alluminio a bassa intensità di carbonio, restringendo l’accesso sui mercati alll’acciaio «sporco» (proveniente da Cina e India). L’accordo siglato al G20 va ancora studiato ed analizzato nei dettagli. Ne è convinto il direttore generale di Alfa Acciai, Giuseppe Cavalli: «È una buona notizia. Ma ancora prematuro capire quali potrebbero essere le ricadute su Brescia e sul nostro gruppo». Per Cavalli «l’accordo tra Usa ed Europa è il primo che dovrà tenere in considerazione l’intensità di carbonio nella produzione di alluminio e metallo da parte delle aziende sia statunitensi sia della Ue, oltre alla sovraccapacità globale».
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