Economia

A Brescia cresce l’occupazione ma i salari di operai, donne e giovani restano al palo

L’ex segretario della Fiom Squassina analizza i dati diffusi dall’Inps a maggio: «Divergenze preoccupanti»
I salari non crescono -  © www.giornaledibrescia.it
I salari non crescono - © www.giornaledibrescia.it
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Se dopo la pandemia l’occupazione a Brescia torna a galoppare, i salari di operai, donne e giovani restano al palo. A dirlo è la ricerca a cura di Osvaldo Squassina, ex segretario generale della Fiom Cgil di Brescia, sulla base dei dati resi noti dall’Inps al 31 maggio 2023 sulle retribuzioni a Brescia e nelle provincie più industriali d’Italia dal 2019 al 2021.

Quello che emerge lascia poco adito a dubbi. Partendo dai dati complessivi, che coinvolgono 416.535 lavoratori dipendenti in provincia di Brescia, il report si concentra sulle retribuzioni lorde nel comparto manifatturiero (148.244 dipendenti nel 2021 contro i 146.079 del 2019 ed i 144.277 del 2020) mettendole a confronto con le retribuzioni medie di alcune provincie più industriali del nostro paese quali Milano, Torino e Bologna. Allo stesso tempo, la ricerca indaga le variazioni delle retribuzioni all’interno dell’industria metalmeccanica, nel bresciano quella più consistente (101.779 lavoratori nel 2021), tanto da far dire a Squassina che «Brescia resta una provincia operaia».

Sotto la lente

Ebbene, quello che emerge in estrema sintesi è in primis che le retribuzioni degli operai nel 2021 hanno gli stessi valori del 2019, dato che non contempla nemmeno il recupero dell’aumento del costo della vita e dell’inflazione (nel triennio si attesta ad un 2,7%).

In secondo luogo dalla ricerca emerge che i giovani lavoratori (fino a 29 anni di età) ricevono un salario mediamente inferiore del 36% rispetto ai lavoratori più anziani e, nell’ambito dell’industria manifatturiera, mediamente inferiore del 29,16%. A penalizzarli maggiormente sono il lavoro precario, le giornate retribuite annualmente (che sono inferiori agli altri lavoratori mediamente di 30 giornate annue) e, soprattutto, il fatto che sono lasciati soli e privi di tutele.

Infine, il report palesa che le donne nell’ambito dell’industria manifatturiera sono le persone che ricevono, a parità di lavoro, salari mediamente inferiori del 30%.

Questione di genere ed età

Guardando al comparto metalmeccanico, in particolare, si nota che le donne (il 20,35% degli occupati) hanno una media di giornate retribuite annue analoghe ai maschi, ma percepiscono una retribuzione di circa il 25% in meno rispetto ai colleghi uomini. Se poi si dà attenzione alla qualifica, per le operaie la differenza sale al 26,76% mentre nel lavoro impiegatizio addirittura al 38,7%. Ad influire negativamente sono principalmente gli orari giornalieri e l’utilizzo imposto dalle aziende del par time, senza dimenticare l’inquadramento professionali.

«Ritengo che da questa analisi emerga chiaramente che la politica e il sindacato devono una volta per tutte farsi carico della questione dei giovani e delle donne, perché è davvero preoccupante che a parità di lavoro vengano corrisposti trattamenti salariali e professionali così diversi», lamenta Osvaldo Squassina, che evidenzia un’altra criticità. «Queste profonde differenze salariali tra operai e impiegati - spiega - indicano che siamo in presenza di una forte ripresa delle elargizioni unilaterali da parte delle aziende nel riconoscere aumenti salariali all’infuori della contrattazione sindacale aziendale».

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