Vita umana degna: due modelli ci interrogano
Oggi alle 18 nell’aula magna dell’Università Cattolica il prof. Massimo Reichlin, ordinario di Filosofia morale presso la facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, affronta un tema al centro del dibattito pubblico nel corso di un incontro promosso dall'Accademia Cattolica di Brescia.
I casi di accompagnamento di pazienti in Svizzera per il suicidio assistito, e la legge sulla depenalizzazione per chi aiuta al suicidio, provocano a domandarsi se sia eticamente lecito che ogni persona possa decidere come e quando porre fine alla propria vita, se appare che questa avrebbe perduto la sua dignità. Non è difficile registrare che il contesto culturale è segnato dall’enfasi sulla nozione di autodeterminazione individuale.
Questo concetto prospetta un condividibile superamento della tradizionale concezione «paternalistica» del rapporto medico-paziente, ma, se enfatizzato in maniera unilaterale, comporta conseguenze discutibili; configura cioè un’immagine della vita degna come segnata dall’autosufficienza dell’individuo, dimenticando la relazionalità e la vulnerabilità che sono elementi costitutivi della condizione umana.
Sullo sfondo delle richieste di suicidio assistito si intravede la convinzione secondo la quale la vita umana sarebbe degna di essere vissuta soltanto quando la persona può muoversi con autonomia: la dipendenza da altri e, ancora di più, la dipendenza da apparati medicali sarebbe negazione della caratteristica fondamentale degli esseri umani; la decisione di porre fine a un’esistenza condizionata da altri e da altro sarebbe pertanto l’affermazione della propria dignità umana.
Appare chiaro che nella questione sono in gioco due modelli di comprensione della persona: da una parte il modello univocamente basato sull’autonomia, dall’altra il modello che tiene conto delle imprescindibili, native, dimensioni relazionali. La concezione della vita degna basata sull’autodeterminazione individuale non consente di scorgere il valore che la vita umana possiede anche in situazioni estreme, come quelle dello stato vegetativo e di minima coscienza.
Difendere le ragioni della cura di questi pazienti comporta la difesa di un’immagine alternativa della vita umana degna. Diventa altresì un appello a tenere desta la consapevolezza che ogni persona è affidata al reticolo di relazioni che stanno alla base di ogni esistenza, soprattutto quando la persona è in situazione di fragilità.
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