Visionario narratore di storie, in mostra un Trainini inedito
Un Vittorio Trainini per certi versi inedito, osservato nel processo ideativo dell’opera, attraverso schizzi, bozzetti, prospetti architettonici, studi compositivi, prove di colore. Sarà come accedere all’atelier del grande freschista bresciano (1888-1969), visitare la mostra che è stata inaugurata sabato 29 maggio al Castello di Padernello, e che resterà aperta fino al 26 giugno del prossimo anno.
Nelle sale del palazzo, per la fondazione Castello di Padernello, il curatore Giacomo Andrico ha allestito, da scenografo, una vera e propria mise-en-scene attingendo all’archivio ancora custodito nella villa di Mompiano dal figlio Gigi Trainini. Carte e cartoni di varie dimensioni, tra cui cartoni da spolvero mai esposti a causa delle dimensioni (quattro metri per cinque) e abbozzi a carboncino già squadrati appesi come quinte teatrali nella penombra del castello, nel cuore di quella Bassa dove l’ultimo dei grandi decoratori bresciani ha lasciato la sua opere praticamente nelle parrocchiali di ogni borgo. E cartoni a terra, nella chiesina, come se fossero ancora in lavorazione, pronti al trasferimento del disegno sulle pareti dell’edificio.
Così, per decenni, lavorò Vittorio Trainini, ultimo dei grandi decoratori bresciani, cresciuto alla scuola dello zio Giuseppe e sui ponteggi accanto a maestri come Gaetano Cresseri, ma portavoce di quella visione «morale» dell’arte totale sul modello delle Arts and Crafts dell’Ottocento inglese (l’artigianato d’arte applicato ad ogni elemento d’uso e d’arredo quotidiano), e della scuola dei Nazareni, senza rinunciare alla rilettura della tradizione figurativa italiana aggiornata sul Liberty e poi sul Déco.
«Abbiamo selezionato le opere in base alla qualità pittorica, dai preziosissimi cartoni dei primi anni di attività, agli schizzi rapidi e felicissimi degli ultimi anni - spiega Andrico - e le ho allestite in base ad assonanze, rimandi formali e cromatici. Si può ricostruire il percorso ideativo dell’opera, dai primi schizzi agli studi in scala, dai bozzetti ai prospetti delle chiese, ai grandi abbozzi su cartone a carboncino dal chiaroscuro intenso, con tocchi di gomma pane a creare le atmosfere. Poi ci sono i bozzetti ricavati dalle macchie sulla carta e dalle venature delle rocce, una sorta di reazione all’astrattismo che allora prendeva piede, secondo il dettame di Leonardo "perché dalle cose confuse l’ingegno si desta a nove invenzioni". Ogni pezzo è un capolavoro di velocità, abilità tecnica, felicità, è un lavoro impressionante».
Poi ci sono i dipinti da cavalletto, «su tavola, perché probabilmente il pennello scivolava più velocemente. Nei mesi invernali, lasciati i ponteggi degli affreschi, si chiudeva nello studio e dipingeva ritratti, nature morte, i paesaggi innevati delle nostre montagne». Dal monumentale al minuscolo, «su piani inclinati ho montato disegni piccolissimi, quasi miniature di pochi centimetri - spiega ancora il curatore - su cui Trainini studiava i colori che poi sviluppava in grande sulle pareti: sono bozzetti immediati, quasi astratti». Accostando le opere e allestendole, Andrico riesce a svelare «l’aspetto tutto architettonico dell’opera di Trainini, a livello compositivo un vero maestro con un innato senso dello spazio. Se fosse nato qualche anno più tardi sarebbe stato certamente un grande architetto (e questo fu una sua aspirazione mancata, ndr). Dalle sue opere emerge la grande capacità teatrale di narrare storie, di creare situazioni attraverso i gesti dei personaggi. Trainini guarda al Quattrocento dei fondi oro, alla grande tradizione bresciana del Cinquecento, ma anche alla composizione barocca, e alla luce trasparente del Settecento di Tiepolo, ma rilegge tutto secondo il gusto del proprio tempo, nell’eleganza e nella sintesi del liberty e dell’Art Nouveau. Un "pittore valent’huomo" avrebbe detto Caravaggio».
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