Cultura

«Uno specchio di Pirandello al femminile»

La bresciana Natalello ad Agrigento con «La donna dell’uomo dal fiore in bocca»
L’autrice. Simona Natalello, insegnante siciliana, a Brescia da 12 anni
L’autrice. Simona Natalello, insegnante siciliana, a Brescia da 12 anni
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Bastano, a volte, poche parole o, addirittura, un silenzio perfetto per far diventare un singolo personaggio il protagonista di un’opera intera: è questo il caso de «La donna dell’uomo dal fiore in bocca», atto unico di Simona Natalello. Il dramma verrà rappresentato il prossimo 31 luglio ad Agrigento nella rassegna «Ciascuno a suo modo», curata da Marco Savatteri per Coop culture nella cornice del tempio di Giunone.

La scrittrice siciliana, che insegna lettere da dodici anni a Brescia, darà infatti la parola alla donna che nell’Uomo dal fiore in bocca, celeberrima pièce pirandelliana, è poco più di un’ombra silenziosa. A offrire corpo e voce alle parole di Natalello, che è anche la regista, un trio di attori siciliani ovvero Lina Gueli (la moglie), Michele Di Bernardo (l’uomo dal fiore in bocca), Andrea Alletto (l’avventore), con musiche del giovane chitarrista bresciano Michele Rapisarda.

Come nasce l’opera? Un omaggio a Pirandello e una folgorazione quando, lo scorso anno, ho assistito alla rappresentazione de «L’uomo dal fiore in bocca», allestita di fronte alla casa di Pirandello. In quel silenzio mi è venuto in mente di dar voce, o meglio un ruolo da protagonista a quella che nell’opera di Pirandello è una donna incompresa, un’anima sconsolata.

Come si sviluppa? È un dramma speculare a quello originale, tanto che dura mezz’ora, come il testo di partenza. Il mio è un lavoro breve, ma denso, che si fa corale, partendo dall’Uomo di Pirandello che recita le sue battute sulla moglie per poi andarsene e lasciare l’azione a lei e all’avventore. Rispetto all’Uomo dal fiore in bocca, ad esempio, acquisisce una dimensione anche l’avventore, figura che in Pirandello rimane un carattere generico.

Ossia? Il mio avventore non è più una spalla, ma un personaggio che interagisce con la donna. L’ho immaginato come un viandante, che si pone in ascolto, anziché rimanere indifferente.

E la donna? Un’allusione alla umorale moglie di Pirandello, un’allegoria della morte? Una donna, semplicemente una donna che sta per perdere tutto, come confida lei stessa all’avventore. Una donna che può diventare un simbolo in cui riconoscersi, ma anche una persona straordinariamente concreta, che usa il dialetto o sogna di cucinare tra aromi e sapori profumati.

La tensione drammatica della sua opera da cosa è alimentata? La pièce pirandelliana ha sempre affascinato per la capacità di condensare tematiche, come l’incomunicabilità e la vita come maschera, presenti anche nel mio lavoro, opera drammaturgica di chi drammaturgo, ci tengo a sottolinearlo, non è. Ma ho scandagliato anche altri aspetti.

Ad esempio? La follia, la gelosia, la malattia, che può diventare morbosa come un’amante, e la morte, fisica, ma da intendersi anche come tutto quello che non c’è più o sta per dissolversi, come il ricordo di un amore, ad esempio, o di tenerezze che si sono volatilizzate.

Come immagina il futuro della sua «Donna dell’uomo dal fiore in bocca»? Intanto a Brescia, dove mi piacerebbe allestire la rappresentazione, e poi chissà. Pirandello in «Sei personaggi in cerca d’autore» ricordava che un personaggio una volta nato acquista un’indipendenza tale dal suo autore che può essere immaginato ovunque.

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