«Una generazione di mezzo» con le opere di Picco e Gandini
Di celeste e terrestre, pulsioni e ascesi, ironia tagliente e riferimenti colti, si compone il secondo capitolo di «Una generazione di mezzo»: il progetto espositivo triennale che vede coinvolte Provincia di Brescia con l’omonima Fondazione e Fondazione Brescia Musei, con lo scopo di approfondire il lavoro di alcuni artisti bresciani nati a cavallo di momenti cruciali del XX secolo - dal post Guerra Fredda al boom economico, dal Sessantotto agli anni di Piombo - i cui effetti hanno influenzato, oltre al mondo in generale, anche temi e linguaggi in materia di arti visive.
Protagonisti dell’appuntamento visibile fino al 18 settembre in città, a Palazzo Martinengo Cesaresco, via Musei 30, sono Gabriele Picco con «Clouds never say hello» e Armida Gandini con «La terra e le fantasticherie» (ingresso libero, orari: venerdì 16-19, sabato e domenica dalle 10-19).
Si parte dalle opere di quest’ultima (1968) che al pianterreno del Palazzo sviluppa un percorso a mosaico: ogni sala è un tassello tematico di una ricerca i cui esiti formali sempre diversi hanno come comune denominatore la ricerca identitaria, la riflessione sulle esperienze passate che rendono le persone ciò che sono nel presente, ma anche un’evoluzione personale e universale, che identifica nel riconoscimento e superamento del trauma la chiave di volta per trasformarsi e crescere come individui e società.
La prima sala è quindi dedicata ai lavori della serie «Il bosco delle fiabe» dove l’azione di remix su immagini d’archivio dal sapore fanciullesco rilancia un immaginario fiabesco che parla di crescita e identità; segue l’importante corpus dedicato a «Marnie», pellicola cult di Alfred Hitchcock da cui nasce la passione di Gandini per la settima arte e a cui è dedicata un’intera sala d’installazioni multimediali e rielaborazioni di fermi-immagine. Pianto e lacrime come simboli tangibili di un’evoluzione che vede nel superamento del trauma il purgatorio verso la liberazione, hanno il volto della Vergine sul videowall dell’opera «Pulses» (valso all’artista la vittoria del Premio Paolo VI nel 2018) e la consistenza di sculture vitree che punteggiano l’area sottostante; mentre il tema viaggio - sia fisico che mentale, in entrambi i casi ha a che fare con lo scolpire l’identità - è nelle geografie umane intagliate nei tappeti del mondo.
D’impronta diversa, ma egualmente convincente, è la narrazione elaborata da Picco (1974), che usa il surf dell’ironia tagliente, con punte di cinico sarcasmo, per muoversi sull’onda di argomenti complessi come la vita e la morte, il pubblico e il privato, la religione e i tabù, senza lesinare riferimenti ai concetti di morte e sesso, solitudine e voyerismo. Qualche esempio: «The wall» è l’ambiente site-specific composto da pareti completamente ricoperte da 18.000 biscotti savoiardi.
Le nuvole che titolano la mostra sono ovunque: in resina e poliuretano sui portapacchi di cinque modelli in scala di auto storiche (Fiat 124, Dyane, 500, Renault 4 e DS), leggere alla vista e pesantissime nel loro essere modellate in marmo nero, rosa o di Carrara come piedistalli per volatili imbalsamati, nel "memento mori" della lapide (molto Cattelan) in granito nero che commemora una nuvola svanita. Una versione contemporanea della Crocifissione si scorge in «Eternal love» (mani in silicone forate dagli steli di rose stabilizzate): c’è il riferimento al sacrificio e all’abnegazione necessari a far crescere qualcosa, certo, ma anche la domanda che molti si pongono e pochi pronunciano: ne vale la pena?
Tutto questo e molto altro è visibile sullo sfondo dell’installazione parietale fatta di carta da parati con disegni dal piglio fumettistico e frasi surreali, che ben riassumono il cortocircuito verbo-visivo alla base di molta produzione di Picco dal 1998 ad oggi («Se questa è arte io sono una banana», 9X4 metri).
Il progetto è stato inaugurato l’anno scorso con la personale di Albano Morandi (1958), l’ultimo capitolo della trilogia è in calendario per il 2023, con focus sulle ricerche di Maurizio Donzelli (1958), Paola Pezzi (1963).
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