Un bresciano alla corte di Re Mick e dei Rolling Stones
Un bresciano alla corte di Re Mick e delle sue pietre rotolanti. È capitato nel giugno 2014 al Circo Massimo di Roma, quando Adolfo Galli allestì lo show dei Rolling Stones insieme a Mimmo D’Alessandro, e ne uscì un live memorabile, da record.
Succede di nuovo in questi giorni, sebbene in altra veste e in Argentina, dove i due promoter italiani sono stati invitati dall’organizzazione e dalla band inglese per l'«America Latina Olè Tour 2016», nelle date in cui questo ha fatto tappa a Buenos Aires (7, 10 e 13 febbraio), prima di attraversare il Rìo de la Plata e raggiungere Montevideo.
Un’esperienza diversa per chi è abituato a condurre il gioco, e può invece «retrocedere» per una volta al ruolo di spettatore, sia pure coinvolto e competente. Abbiamo chiesto a Galli, al telefono, di raccontarci il modo in cui gli eventi prendono forma in una città che vanta una delle più alte concentrazioni mondiali di italiani, senza contare quelli che hanno radici più o meno lontane nel nostro paese.
Adolfo: un tuffo nell’estate sudamericana, al seguito degli Stones...
Una splendida esperienza, impreziosita dall’ospitalità di Daniel Grinbank, promoter delle quattro date rioplatensi (e curatore, tra l’altro, del tour europeo di Violetta, ndr).
Gli aspetti che saltano all’occhio?
Il pubblico molto giovane, con l’80% degli spettatori under 30. Poi, il fatto che siano banditi gli alcolici e che tutti bevano acqua. Infine, l’attenzione spasmodica alla sicurezza, con massicci spiegamenti di forze di polizia; ciò ben prima, peraltro, che un episodio increscioso (una rapina finita male a un furgoncino del «food & beverage», ndr) alzasse il livello di allerta.
Pubblico giovane è la conseguenza di prezzi bassi?
Non direi: può sembrare stupefacente - considerando che da noi livello di vita e reddito medio sono decisamente più alti - ma i prezzi argentini sono maggiori: 3.450 e 3.000 pesos (rispettivamente 210 e 182 u ) per i settori numerati; 1.450 pesos (88 u ) in piedi. A Roma i biglietti costavano 149 u fronte palco e 89 u il posto in piedi. Grinbank mi ha confidato che la svalutazione della moneta locale avvenuta a dicembre lo ha messo in difficoltà, ma la risposta del pubblico è stata eccezionale: tre sold out per complessivi 165.000 spettatori, a fronte di una richiesta addirittura doppia!
La scaletta dei concerti era simile a quella italiana?
Con alcune differenze, ma i pezzi «di culto» coincidono. A Buenos Aires non c’era la vocalist Lisa Fisher, che è un valore aggiunto. E se John Mayer fu l’opener di lusso per Roma, qui è toccato a due band argentine scaldare il pubblico. Jagger ha dato un tocco personale all’esibizione, intonando «Don’t Cry For Me Argentina» e annunciando l’acquisto di una casa in uno dei quartieri poveri della capitale.
Uno stadio invece delle rovine romane: un radicale cambio di prospettiva...
Eravamo a La Plata, nello stadio dove gioca l’Estudiantes: tecnicamente in provincia, a sessanta chilometri dalla capitale. Senza il fascino che sprigiona da luoghi che hanno una storia: quello però avviene in Italia e in pochi altri posti... Ma nel catino, ve lo assicuro, c’era una forza primordiale, ben percepibile, come l’energia di un vulcano in eruzione, con vibrazioni che ti scuotevano di continuo... pazzesco!
Qual era la fonte di quest’energia?
Era l’effetto dell’alchimia creatasi tra una band in stato di grazia e pubblico ipervitaminico, caldissimo. Gli Stones sono l’esempio di come si debba vivere il r’n’r, e Mick mi è sembrato ancora più in forma di due anni fa. Ma ho constatato come in Argentina Keith Richards sia altrettanto famoso: al suo ingresso sul palco, gli è stata riservata un’ovazione incredibile.
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