Cultura

Tutte le ricchezze di Benni al Ridotto del Grande

Al Ridotto del Grande, intervistato da Claudio Baroni, Stefano Benni parla di vecchiaia, politica e ambiente.
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Comici, incanutiti guerrieri. Battaglieri, ma senza crogiolarsi nel pessimismo ad ogni costo. Parole al plurale, ma è di Stefano Benni che si parla. Intervistato venerdì pomeriggio, al Ridotto del Grande, dal vice direttore del Giornale di Brescia Claudio Baroni, Benni ha raccontato del suo ultimo romanzo, «Di tutte le ricchezze», concedendosi divagazioni - quasi tutte piuttosto sapide, per la verità - su questo «nostro Paese di vecchi che odia i vecchi». E proprio l'incanutimento è uno dei temi forti di questo ultimo libro, oltre che la prima «suggestione» su cui l'autore è incalzato da Baroni. «Come si invecchia? E cosa significa invecchiare?».

«In letteratura - ha precisato Benni -, le età hanno sfumature diverse. Nel libro si riflette su cosa succede quando ci si avvicina ai 70 anni, ma più che sulla vecchiaia ci si concentra sulla solitudine. Come ho detto, l'Italia ama poco le persone di una certa età, tranne che per i fetenti-potenti che si fanno il lifting. Paradossalmente, quando sei vecchio avresti qualcosa da dire, ma nessuno ti ascolta». Lo scorrere delle stagioni della vita non corrisponde necessariamente ad una ineluttabile condanna allo stare soli: «Ci sono molti modi per reagire, anche se dipende molto da chi si ha accanto. A volte basta avere vicino una sola persona. C'è poi anche la solitudine dei potenti, che è un discorso a sé».

Ma vecchiaia può anche essere libertà: «Il professor Martin, protagonista del romanzo, ha fatto sempre scelte di libertà, anche prima di ritirarsi in un borgo sperduto. Credo - ha sottolineato Benni - che, magari faticosamente, anche da vecchi si possa mantenere la propria libertà. Penso a chi fa questo mio bel, faticoso mestiere: uno scrittore, pur se avanti negli anni, può scegliere di inventare un protagonista giovane. Semmai, il rischio è quello di rincoglionirsi e di scrivere brutti libri, ma può capitare anche a vent'anni».

Stimolato ad approfondire questa sua visione dell'Italia che non è quella delle grandi città, Benni ha parlato senza filtri di «una provincia italiana distrutta, cambiata in nome di questa modernità. Io sono nato - ha spiegato - in un piccolo paese dell'Appennino, spazzato via per la costruzione dell'Autostrada A4. La vita solidale è stata devastata da un desolante paesaggio di consumo (in «Di tutte le ricchezze» si parla di Spendodromo, ndr). Eppure, nessuna cementificazione è riuscita a distruggere la nostra letteratura: la grande forza della provincia italiana è quella di resistere».

Benni romanziere è un caleidoscopio di caratteri: ogni suo libro, un trionfo di personaggi, «sempre - ha evidenziato Baroni - con elaborate descrizioni, anche per quelli minori. Come nascono questi passaggi»? Precisando come non esistano «personaggi minori, ma semmai più riservati», Benni si è definito «un mangiatore di facce. Quando viaggio in treno osservo, guardo, cerco di captare la diversità, che è quello che mi piace e che, invece, la televisione cerca di nascondere, di appiattire. Rispetto al passato, posso sorvegliare meglio i miei personaggi, prima mi risultava più complesso, anche perché ne mettevo tantissimi».

Definendosi serenamente «poligamo», quando si parla di tradimento - sempre rispetto alla sua ultima fatica letteraria - Benni è piuttosto schietto: «Tradire è non stare vicino alla persona che si ama nel momento in cui ne ha bisogno. Per me significa questo».
Accarezzando ancora qualche passaggio del libro (dalla capra che cita Flaubert, simbolo del suo amore per gli animali al Catena, poeta, di fantasia, più volte citato dal professor Martin), Benni ha teorizzato l'importanza, a livello stilistico, «di non farsi imprigionare dalla grammatica, i cui limiti, a volte, vanno valicati. È come un fraseggio jazz: non è un caso se, quando faccio spettacoli che hanno a che fare con la musica, scelgo sempre dei jazzisti».

Libri, libri, libri: ma cosa preoccupa oggi Stefano Benni? «Se vogliamo parlare della situazione dell'Italia - ha ammesso -, potrei anche conservare un briciolo di ottimismo. Io, del resto, parlavo di Silvietto già 30 anni fa, perché mi fece paura fin dalla prima volta. Ma, allora, parlavo anche dei disastri che stavamo combinando alla terra e, vedendo la situazione attuale, siamo talmente peggiorati che non potrei scrivere nulla, perché sarebbe davvero uno scenario apocalittico e, poi, non me lo pubblicherebbe nessuno. La profezia dei Maya? È una cretinata: altro che fine del mondo, avevano solo finito la pietra del calendario».
Benni diventa, infine, guardingo quando si tratta di ipotizzare i suoi prossimi lavori, probabilmente due saggi: «Da anni accarezzo l'idea di un lavoro su "Lolita" di Nabokov, "Salomè" di Wilde e "Le Notti Bianche"di Dostoevskij. Magari non uscirà mai. C'è poi il soggetto "Quindici cretini": in Italia ne esistono molti di più, devo solo scegliere bene».
Rosario Rampulla

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