Cultura

Teatro degli Orrori, oggi live al Latte Più

Questa sera al Latte Più di via Di Vittorio in scena il Teatro degli Orrori per presentare l'album «Il mondo nuovo».
AA

Pensarlo artista e (ri)scoprirlo. Rapinatore. «Di poesia. Senza passamontagna». Come dire appuntito, sì, ma solo all'estremità in cui convergono i due lati del cuore. Perché l'opera di Pierpaolo Capovilla, leader de Il Teatro degli Orrori (nella line-up anche Francesco Valente, Gionata Mirai e Giulio Ragno Favero), stasera in concerto al Latte Più di via Di Vittorio, nella zona industriale di Brescia, mira «a far vibrare le corde del cuore di chi ascolta».

I cancelli aprono alle 21.30, l'ingresso costa 15 euro, info: www.lattepiulive.it. La data è la seconda del tour promozionale del terzo disco «Il mondo nuovo».

L'album è un concept dedicato alla figura del migrante. «Il mondo nuovo» è l'attuale, l'auspicato o quello di chi lascia una terra alla volta di un'altra «migliore»?
Diciamo subito che un mondo migliore è possibile, ma uno peggiore è probabile - esordisce Capovilla -. Si tratta di un paradosso metaforico: nutrire speranza è doveroso e giusto, a fronte della disperazione di un mondo vicino e alle porte.

Hai abituato la platea all'utilizzo di rimandi letterari. Solo nella prima traccia dell'album ne emergono tre. Qual è il senso?
Il senso emerge dall'affiancamento dei tre: Pier Paolo Pasolini, il passato glorioso dell'intellettuale italiano; Alberto Asor Rosa, il comunista rispettato che però nessuno ascolta. E Slavoj Zizek, il futuro, il «mondo nuovo». Il loro accostamento aggiunge senso al senso. Inoltre, decontestualizzando interi versi, che io talvolta rapino, e trascinandoli nella realtà di oggi fioriscono significati di cui nemmeno io mi rendevo conto a priori.

Dal punto di vista musicale cos'è «Il mondo nuovo»? All'ascolto pare più morbido dei precedenti...
Vero. Siamo forse l'unico gruppo italiano che diventando più commerciale non cede all'effimero. In generale stiamo ancora tentando di capire cosa vogliamo fare da grandi. Siamo cioè a caccia di una nostra cifra stilistica. Secondo me, a dirla tutta, l'abbiamo sempre avuta, ma non è un buon motivo per fermarsi. Lo spirito risiede nella cooperazione come metodo, come prassi della creazione, a sua volta processo di auto-apprendimento.

Si colloca nel percorso di ricerca l'inserimento di numerose collaborazioni (i bresciani Aucan, Caparezza, Rodrigo D'Erasmo degli Afterhours, Andrea Appino degli Zen Circus...)?
Direi proprio di sì. La presenza degli ospiti è pure legata al tema del concept. Anche la musica può migrare, è viaggio e, appunto, ricerca.

Qual è l'intento soggiacente alla realizzazione di dischi che hanno rilevanza socio-politica?
In primis ci tengo a sottolineare che non mi piace scadere nella retorica della militanza. Non è quello il mio obiettivo, anche se procedere per slogan sarebbe indubbiamente facile. Questo disco, «Il mondo nuovo», è una catena di 16 piccole, intime, privatissime storie. In qualche caso d'amore, che è un rapporto sociale. Il mio è un tentativo, magari maldestro, di narrare in poesia la società. E questo è già un atto politico. Anzi, il principale.

Raffaella Mora

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia