Cultura

Tampalini: «Con Allevi suonerò musica che non esisteva»

«Rapsodia italiana» per chitarra e orchestra il 19 dicembre a Milano con una super direzione
Allevi e Tampalini © www.giornaledibrescia.it
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«Steve Reich con dentro Rachmaninov, un rock con dietro Rodrigo e Puccini, Dvorak occhialuto e la testa piena di ricci». Così il chitarrista bresciano Giulio Tampalini presenta la nuova «Rapsodia italiana» per chitarra e orchestra di Giovanni Allevi, che eseguirà in prima assoluta al Teatro Dal Verme di Milano, la sera di mercoledì 19 dicembre, con l’Orchestra Sinfonica Italiana diretta proprio dal maestro marchigiano (prenotazioni su TicketOne, pochi i biglietti rimasti).

«L’anno scorso, dopo avere ascoltato il suo Concerto per pianoforte, gli proposi di scrivermi una pagina per chitarra: lui ha rilanciato con un concerto per chitarra e orchestra!  Molti criticano l’eccessiva semplicità della sua musica, mentre per me ha saputo trovare un punto di equilibrio fra rigore e comunicazione. È la ricerca degli ultimi trent’anni. Dopo centinaia di «prime (e ultime) esecuzioni», dopo i banali ammiccamenti al pop, ci troviamo in un momento di grande libertà. Non credo che Allevi sia responsabile della decadenza musicale italiana. La diseducazione è generalizzata: comincia nelle scuole, prosegue con cellulari, videogiochi, reality, talk-show, scaffali di libreria e teatri vuoti. La sua musica è un ponte per introdursi in territori più complessi. Zona di confine, terreno di innesti. Raccoglie un pubblico giovane, che difficilmente entrerebbe in una sala ad ascoltare Prokofiev

Come suona questa Rapsodia? È un tipico Concerto tripartito, virtuosistico e scattante. Tre movimenti diversissimi: nel primo emerge un tema possente, di carattere slavo, epico, patetico; nel secondo la cantabilità è struggente ed essenziale: poche note, soppesate, intense, succulente, vivificate da languori e progressioni romantiche. Nel terzo la voce di Allevi si staglia inconfondibile: energia propulsiva e magnifiche linee spezzate (in bilico tra John Adams e Paolo Ugoletti). Questo brano colma un vuoto inspiegabile: non esisteva nulla di simile, per chitarra. Ho suonato ad alcuni professori di Conservatorio alcune di queste melodie, invitandoli a scoprirne l’autore. Sono fioccati nomi altisonanti e improbabili, ma nessuno ha indovinato (e ho mantenuto il segreto).

Tutto funziona a meraviglia, mi sono limitato a diteggiarlo. Nei mesi scorsi ho spedito ad Allevi una valanga di musica chitarristica (Giuliani, Castelnuovo-Tedesco, Villa-Lobos, Gilardino). Lui l’ha studiata a fondo, ha analizzato orchestrazione, miscele timbriche, texture, incastri metrici, stili e linguaggi. Quando gli consigliavo ritocchi minimi, con un largo sorriso, mi implorava di non toccare nulla, con motivazioni reali, poetiche e profonde. Ho scoperto in lui una tensione davvero umile e una consapevolezza compositiva enorme. Affezionato a ogni singola nota.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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